Category Archives: Giornalino

Giugno 2004

La certezza della continuità

Amici carissimi, questo numero vi giunge in ritardo rispetto alle consuete scadenze trimestrali, per essere in sincronia con il convegno di fine triennio (2 giugno), di cui diamo un resoconto nella rubrica “Primo Piano” e per riferire di due importanti celebrazioni capitolari interne al nostro mondo cappuccino, quello della Custodia Nigeriana (14- 16 Aprile) e quello della Provincia Toscana (23-30 maggio), il primo dopo l’unificazione delle due ex-provincie di Firenze e Lucca. Quest’ultimo potrebbe avere delle conseguenze anche sull’attuale struttura organizzativa del C.A.M. Del resto vale sempre la nostra comune convinzione, tanto cara alla Regola Francescana, che nella obbedienza si costruisce sempre qualcosa di nuovo per il Regno di Dio. Le Sacre Scritture continuamente forniscono esempi e modelli di questa efficace obbedienza, incominciando dal nostro Padre Abramo. Alla fine di questo triennio, sento comunque l’urgenza di ringraziarvi per il vostro lavoro, nella certezza della sua continuità, a prescindere da eventuali cambiamenti organizzativi. Con la vostra vicinanza a servizio delle Chiese del mondo, rappresentate un riferimento sicuro per quanti sono alla ricerca della Verità che salva. Con l’animazione missionaria che realizzate in adempimento all’ordine di Cristo, voi offrite un messaggio di amore e di speranza a tutti gli uomini, fino ai confini del mondo. La speranza, di cui siete araldi, è quella che nasce dalla morte e risurrezione di Cristo. Per questo, voi dovete avere una speciale considerazione per quei popoli del mondo, dove il dolore è più grande e la necessità più acuta, le popolazioni del cosiddetto Terzo Mondo. Il vostro impegno è a fianco dei missionari del Vangelo che, predicando la solidarietà e l’amore, si sacrificano per la pace, giungendo talvolta al dono della vita per “l’amore di Cristo che li spinge” (2 Cr.5,14). Quando vi angustiate per le sofferenze di altri popoli e operate per alleviare il loro grande bisogno di soccorso, voi state operando per aiutare i vostri stessi popoli, le vostre stesse Comunità e Chiese, ad uscire dalle strettezze dell’egoismo, dal soffocamento dell’abbondanza e da comportamenti a volte indegni di esseri umani. Quando, con fede sincera, meditate le parole di Gesù e operate nel suo spirito, voi sapete che si applicano a voi le sue parole: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt. 25,40)

fra Corrado Trivelli

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Marzo 2004

La luce di Dio

Amici e fratelli carissimi, questo numero di Eco delle Missioni, vi giungerà in prossimità della Pasqua, per cui è doveroso aprire questo mio breve intervento coll’annuncio: “la gioia e la pace del Cristo risorto sia con voi“. Mentre vi scrivo, siamo nel pieno della Quaresima, vivendo il momento più forte di tutto l’anno liturgico. È il tempo che ci introduce nel Mistero Pasquale, che è mistero di morte e di vita. È il tempo che ci prepara a godere dei frutti della Risurrezione di Cristo, attraverso il nostro impegno di preghiera, di carità e soprattutto il nostro impegno di penitenza: quella penitenza che è conversione che ci porta alla riconciliazione con Dio e con i fratelli. Cristo, il Verbo di Dio, ci ha mostrato l’amore, ha portato la luce, si è fatto Via, Verità, Vita. È un amore che rifiuta la logica dello scambio, perché dona senza aver ricevuto, e dona ancora, anche se ha ricevuto un rifiuto; è un amore capace di immolazione e di umiliazione. È una luce che non promana da un apparato di potenza, ma dall’umiltà di una croce che, però, diventa punto di riferimento, faro di salvezza nella oscurità di un mondo immerso nel peccato. È una luce che molti non hanno accettato e non accettano e non hanno visto o non vogliono vedere, per cui continuano guerre e persecuzioni, e Cristo continua a patire e morire in tante membra di questo immenso corpo umano, specialmente là in quella terra che è stata a suo tempo pervasa dalla sua luce, sia quella della sua nascita, come quella della sua Risurrezione. Sta a noi cari fratelli, che accogliamo il divino messaggio farci segno dell’Amore e luce riflessa dell’unica vera luce. Viviamo in un tempo di fitte tenebre e potremmo schernirci come un tempo Israele, di chi ci ammonisce e ci invita a ricostruire e così non vivere la responsabilità di operare il bene e di essere costruttori di quel mondo nuovo cui i più anelano. Dio che ieri ha mandato suo Figlio, oggi manda noi. La morte di Gesù non è concepibile senza la Risurrezione; il Venerdì Santo non è spiegabile senza la Pasqua. Contempliamo fratelli la Gloria dei Risorto! Pensiamo a quel corpo lacerato per il peccato dell’uomo, sul punto di essere rianimato dal soffio dell’anima. Pensiamo a Gesù nell’atto di ringraziare il Padre per avergli dato tutti i popoli e nazioni come sua eredità. E quell’eredità è anche nostra. Un’eredità da amare, da difendere, da proteggere, da sostenere ad ogni costo, affinchè possa camminare e crescere, non solo nella verità che è Dio, ma anche nella piena dignità di figli di Dio. A Cristo, fratelli carissimi, affidiamo le nostre attese e speranze, perché divengano certezze e gioia nella sua Pasqua di Risurrezione. A tutti e a ciascuno in particolare auguriamo i gaudi della resurrezione. Buona Pasqua! Alleluia !

fra Corrado e i confratelli del C.A.M.

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Dicembre 2003

Natale: non possiamo tacere

Proclamando e ascoltando il brano del Vangelo di S. Luca 2, 12-18, non possiamo che concludere con queste parole: «non possiamo tacere!». Fin dal suo primo vagito Cristo, Parola eterna fatta carne inviata a noi dal Padre, si presenta come notizia, annuncio che vuole e deve essere dato all’umanità. Dalla prima parola all’ultima, la Buona Notizia è ripetuta di bocca in bocca: dall’Angelo a Maria, a Giuseppe, ai pastori; dai pastori alla gente; da Giovanni Battista alle folle che attendono il Messia; da Cristo stesso al popolo, ai discepoli, agli apostoli; dagli apostoli ai pagani; dalla Chiesa all’umanità. Cristo è la Buona Notizia, che deve rimbalzare di uomo in uomo, di secolo in secolo. Una corsa inarrestabile perché Cristo con la sua vita, il suo insegnamento e la sua morte, è l’unica, autentica notizia di cui abbisogna l’umanità. Ogni cristiano è figlio di questa Buona Notizia e, per sua vocazione, non può esimersi dal diventarne un ripetitore. Celebrare il Natale comporta anche prendere il microfono dalle mani degli angeli, dei pastori, degli apostoli e diventare predicatori di Cristo. Un cristiano non può mai essere un cane muto (Is. 56,10), bensì un profeta, un annunciatore delle cose di Dio. Dovrebbe essere un’esplosione della pienezza della fede e del suo amore per Cristo, come lo fu per gli apostoli: «Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (Atti 4,20). Evitiamo allora il tradimento dei prudenti. Fede languida, quieto vivere, diplomazia fuorviante, rispetto umano, interessi minacciati, paura della radicalità evangelica, affievoliscono il volume, spengono le parole, chiudono la bocca facendo dei cristiani profeti mancati della Buona Notizia, che dovrebbe essere gridata sopra i tetti. Sopire, smorzare, evitare i confronti, annacquare la vitalità e l’impeto delle parole di Cristo, sembrano essere la parola d’ordine di tanta cristianità. Altro che anelito bruciante, coraggio inarrestabile e foga travolgente dell’apostolo Paolo: «Guai a me se non predicassi il Vangelo» (1 Cor. 9, 16). «Ci sono troppi saggi, troppi prudenti. O Dio, mandaci dei folli, mandaci degli uomini che si impegnino a fondo, che amino diversamente che a parole, che si donino veramente fino in fondo». (L. Lebret) Per incoraggiarci tutti nel servizio di annunciatori del Vangelo, è necessario chiedere a Dio che ci conceda sempre la testimonianza dei profeti, uomini consapevoli che Cristo crocifisso è scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati è potenza e sapienza di Dio. (1Cor.1,23- 24). Doniamoci senza riserve, impegniamoci senza compromessi, testimoniamo la verità senza adulterazioni: è questo l’autentico essere cristiani a cui siamo chiamati dal natale di Cristo, voce fatta carne e a cui dobbiamo chiamare gli altri con la voce delle nostre parole e della vita. Compito della voce è gridare, anche se attorno c’è il deserto dell’ascolto, perché sia un Natale Buono!

fra Corrado

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Ottobre 2003

Riscoprire il germoglio della vocazione

Domenica 5 ottobre in Piazza San Pietro, Daniele Comboni viene proclamato Santo da Giovanni Paolo II

Carissimi, in questo mese di Ottobre, dedicato dalla Chiesa a una particolare riflessione sulla Vocazione alla Missionarietà, c’è stato il riconoscimento pieno della Santità di Mons. Daniele Comboni. Tutti noi, sensibili al mondo della Missione ad Gentes, ci uniamo ai nostri fratelli Comboniani per esprimere la gioia per il grande dono che il Santo Padre ha fatto alla Chiesa tutta e alla Chiesa Missionaria in particolare, elevando agli onori dell’altare questa grande figura di apostolo che richiama e ripropone le grandi personalità missionarie antiche e moderne. Lo Spirito di Daniele Comboni riecheggia altri amanti della terra africana, come Giustino De Iacobi e il Confratello Cappuccino Card. Guglielmo Massaia, Charles de Foucauld. Come questi apostoli anche Comboni, oltre ad avere donato la vita per i fratelli, ha suscitato un grande movimento religioso e laico, che ha saputo far sorgere nelle comunità, con tanti missionari e missionarie che lo hanno seguito in Africa, iniziative di sostegno spirituale e materiale al mondo africano e all’intervento della dimensione missionaria nelle Chiese locali. Dalla sua biografia appare chiaro che fin da bambino Daniele aveva nel cuore il germoglio della vocazione. Col passare del tempo realizzò il suo sogno, divenendo missionario dell’Africa. Con innumerevoli sacrifici portò avanti il suo ideale, il suo amore per difendere quelli che erano fatti schiavi. La sua vita fu breve, ma il seme da Lui gettato era caduto in terreno fertile. Ora ci sono i suoi missionari che, con nobili sentimenti umani, si donano e si offrono ai fratelli del mondo per amore di Gesù Cristo e del loro fondatore. L’evento della sua Canonizzazione non deve muoverci solo ad un gioioso grazie, e alla solita contemplazione di un autentico “campione” dell’evangelizzazione, ma deve darci l’opportunità per riscoprire la dedizione al servizio degli altri e a far rivivere nella nostra vita pratica la riconoscenza per il dono ricevuto nella fede; nonché di risveglio dello spirito missionario nei nostri gruppi o comunità missionarie, per crescere sempre di più nell’annuncio di fede detta e vissuta.

fra Corrado

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Giugno 2003

Vacanze fai da te? Certo, ma con amore!

Voglio sperare vivamente che quando verrà posto in stampa il nostro giornalino, vale a dire nella prima metà di Maggio, non si parli più di guerra né di lacerazioni e contrasti tra popoli e nazioni e la pace sia definitivamente raggiunta. Intanto prego e invito amici e fratelli a pregare e a fare penitenza come il Papa raccomanda affinchè si affrettino i giorni della riconciliazione. In prossimità dell’estate voglio ricordare, come sono solito fare ogni anno, che è giusto e doveroso programmarci un periodo di vacanze durante il quale trovi distensione, respiro e riposo il nostro fisico, arricchendo profondamente il nostro spirito che durante la routine stressante del lavoro e anche degli eccessivi impegni pastorali, rischia di inaridirsi. Modalità per realizzare vacanze diverse ne abbiamo a sufficienza e ormai è inutile ricordarle perché le conosciamo e ne abbiamo fatto esperienza, sia come gruppo e anche individualmente. Mi permetto solo di esortare e invitare tutti a far tesoro di questo periodo e dei mezzi che esso ci offre per crescere nella comunione con Dio e con i fratelli. Il nostro Centro di Animazione Missionaria organizza anche quest’anno l’esperienza di condivisione missionaria in Tanzania, alla quale parteciperanno alcuni giovani volontari accompagnati dal P. Flavio. È un esperienza nella quale crediamo ancora e la riteniamo educativa e formativa e i risultati positivi verificati ce ne danno conferma. Forse non tutti i gruppi missionari la ritengono necessaria, pensando ad altri modi di collaborazione. Altri invece non vivono più l’entusiasmo di un tempo avendo dimenticato troppo presto quanto da queste esperienze hanno ricevuto. Comunque il nostro Segretariato continua ad avere fiducia nelle nuove leve che manifestano desiderio e volontà di dare segni concreti di condivisione. Soprattutto sono i confratelli Missionari che insistono sulla validità delle esperienza, vantaggiosa anche per i fratelli africani, dandoci sempre suggerimenti per migliorare queste nostre iniziative e mini-progetti. Intanto preghiamo lo Spirito del Signore, perché ci illumini nel cammino che dobbiamo compiere e soprattutto sulle scelte che è opportuno fare, facendoci condurre dove lo Spirito vuole e come vuole, anche se umanamente parlando dovremmo affrontare qualche sacrificio. A nome del nostro Centro auguriamo a tutti buone vacanze.

fra Corrado

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Marzo 2003

Ancora sperare

Ho cercato sempre di dare messaggi di speranza, ma riconosco che non è sempre facile essere assertore convinto di speranza, dopo tutto ciò che da tempo accade nel nostro mondo. Sentimenti contrastanti invadono il nostro cuore e la nostra mente di fronte alla condizione dei deboli, degli oppressi, dei profughi, degli emarginati e dei torturati. Nonché di fronte alla violenza di coloro che uccidono, devastano, bruciano. Eppure mi dico che se ci deve essere speranza, ci deve essere anche per questi… perché la speranza non ha colori, né confini, non è retaggio della vittima, che a sua volta può diventare potenzialmente oppressore. La speranza di ricostruire insieme un mondo, alla cui distruzione tutti hanno e abbiamo partecipato, deve essere un imperativo che contrasti la prepotenza bellica dell’odio, lo sforzo di egoismo dominante; dobbiamo, come ha ricordato il Papa Giovanni Paolo II in un suo messaggio per la Giornata della Pace, imporre una prepotenza etica che ci faccia sperare per la città del futuro. Questa deve essere la risposta del Cristiano alla volontà di potenza dell’egoismo, dell’individualismo, dell’indifferenza di questo deserto mondiale in cui agonizza l’etica sociale. Se così non è, chi potrà dare al padre la sua famiglia, alla madre il suo neonato, agli orfani dei genitori, ai martoriati i loro arti, a chi piange restituire il sorriso? Deve ritornare la speranza, la voglia di vivere, di perdonare, di dimenticare, anche se è difficile dimenticare col cuore, mentre la ragione può farlo più asetticamente… deve fortificarsi la voglia di ricostruire ex novo una società che sta scomparendo in varie parti del mondo. Dobbiamo pensare, riflettere su cosa l’umanità intera ha fatto attivamente o passivamente con la sua apatia e incoerenza in Palestina, in Afghanistan, nella zona dei grandi laghi in Africa, in America Latina e in altri innumerevoli luoghi, dei quali solo superficialmente siamo informati. In tutti questi casi ci troviamo di fronte ad attentati alla vita e al trionfo della sua negazione. Per non dimenticare dobbiamo lottare tutti nel nostro quotidiano contro l’individualismo, contro l’egoismo, per la vita e i suoi valori, pagando magari anche di persona, soffrendo anche per gli altri, non solo a parole, per testimoniare una vera simpatia all’uomo e alla sua esistenza.

fra Corrado

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Dicembre 2002

Natale: la grande festa della benevolenza

Da piccolo frate che sono, e sono lieto di esserlo, voglio a Natale parlare in grande. Perciò scrivo una lettera al vasto mondo dei nostri lettori, perchè anch’io, come Thomas Merton, quello della “Montagna delle sette balze“, ho appreso di essere nato a Betleem. Nel Presepio comincia la salvezza di tutti. Senza il Natale non ci sarebbe nemmeno la Pasqua. Senza quel piccolo corpo, già votato alla crocifissione e all’effusione del sangue, non si dà la Redenzione. Il legno della mangiatoia è tagliato da quello stesso albero per le braccia della croce. La Chiesa di Roma, nella prima metà del IV secolo, quando si incominciò a celebrare il Natale in occidente, così annunciava la nascita del Salvatore: Natale del Signore: nostra Pasqua. Ecco perché il Natale del Signore non può essere sotterrato dai regali che ricambiano e ripagano regali. Non può essere affogato in fiumi di spumante, non può essere festeggiato nel frastuono pagano dei cenoni. Natale ha bisogno della stalla, della paglia, del buio dei poveri che erano più poveri. Ha bisogno della croce per essere Natale. Senza l’umanità, Cristo è solo un Dio e solo un Dio non basta all’uomo. A Pasqua, Cristo Risorto fa fatica a farsi riconoscere, durano fatica anche gli occhi innamorati della Maddalena. A Natale, sulla mangiatoia, la strada del Mistero è aperta e invitante dagli occhi semichiusi di un bambino, un bambino come me, come te. “da quelle piccole mani si apre la benedizione verso il cielo, verso la campagna. attorno le tenebre gremite di voci, preghiere di angeli e di uomini da salvare. Gli angeli sono dei più belli, gli uomini invitati per primi sono della classe sociale più bassa, ma tutti i nomi sono già scritti non sul registro del censimento dell’impero, ma sulla cambiale della primavera, di lì a trentatre anni, a cominciare da quell’ora che era notte fonda, ma colma di luce e di sole promesso: l’alba della resurrezione.“ (Sermone di S. Benedetto) Il bambino Gesù è tutto in tutti. È nella sua e nostra Madre celeste, è nella paglia arida e angolosa, è nei belati di greggi vegliati e svegliati per il primo annuncio di gioia: il primo Vangelo. E Maria, dopo aver dato alla luce suo figlio e averlo fasciato, nel metterlo a giacere sulla greppia, lo mette nel cuore del mondo, seguitando a stringerlo, come dono di vita, nel proprio. Natale prima di essere Natale per gli uomini di buona volontà, è Natale della benevolenza di Dio che incontra la malevolenza degli uomini, a rischio di peccato e quindi di morte. Ma sulla nostra morte vince la sua vita, sul peccato di tutti, la sua pace per la faccia di tutta la terra. Il vessillo del Re sceso dalle stelle, dice S. Ignazio di Loyola, è povertà, umiliazione, umiltà. Al di là delle passeggere emozioni, davanti a questa proposta, il mio cuore si apre e Gesù che viene e cerca prima di tutto i piccoli, con la promessa di ripartire dagli ultimi, dai più deboli come me. Mi piace pensare che nella stalla di Betleem, Giuseppe sia entrato precedendo Maria, ma questa volta senza bussare, perché già aperta. Come ogni nascita il Natale, per non spaventare, propone solo l’inizio del mestiere di vivere. Dio si è fatto bambino, perché i bambini non fanno paura a nessuno. Offro questa semplice riflessione come dono natalizio, tratta da una pagina del mio Diario... aff.mo

fra Corrado

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Ottobre 2002

Disponibili a lasciare... fiduciosi nell'accogliere

Tutti siamo destinatari della Missione e Gesù nel discorso Missionario, che l’evangelista Matteo riporta nel capitolo X del suo Vangelo, lo dichiara apertamente, fornendoci le caratteristiche fondamentali della Missione. La prima caratteristica è la disponibilità a lasciare. Ogni impegno per la missione esige generosità assoluta, disponibilità a lasciare tutto per mettere in primo piano la causa del Vangelo. Il motivo primo di questa radicalità lo troviamo nel fatto che Dio è unico (Credo in un solo Dio) e quindi tutto il resto ha senso solo in Lui, a partire da Lui e in vista di Lui. Non esiste il bene, non esiste la bellezza, non esiste la gioia vera, se non in Dio. Fuori di Lui si hanno solo surrogati. Soprattutto non esistono la verità e l’amore. Al di fuori di Lui tutto si dilegua, tutto manca del suo vero senso. Solo se si riesce a trovare il distacco dalle cose, una giusta valutazione delle creature, si diventa testimoni del Regno di Dio, che tutto trascende. Solo a prezzo di questa generosità si può essere realmente missionari. Per questo leggiamo in Matteo: “Chi ama il Padre, la madre, il figlio, la figlia ecc... più di me, non è degno di me”. Il secondo motivo è nella posta in gioco: nientemeno che il Regno di Dio, la Missione stessa della Chiesa, la sua ragione d’essere nel mondo. La Chiesa esprime veramente se stessa, si manifesta chiaramente come fermento del Regno, attraverso la generosità dei cristiani che, con disponibilità, testimoniano la loro fede e annunciano con la vita la presenza del Signore. La seconda caratteristica, che interpella i cristiani quali destinatari della Missione, è la fiducia nell’accogliere. Tutti noi, infatti, prima ancora che a testimoniare, siamo chiamati ad accogliere fedelmente la testimonianza della Chiesa. Ma accogliere la testimonianza significa compromettersi, ascoltando chiunque parla in nome del Signore, chiunque è testimone della sua parola. Innanzitutto i Ministri che esercitano l’ufficio di Magistero, il Papa e i Vescovi. Ma il Signore può servirsi di chiunque e far sorgere profeti in mezzo al suo popolo. A noi è richiesta la vigilanza, per non perdere nessun segnale e nessun suggerimento mandato dallo Spirito. Naturalmente, per maturare questa attenzione di accoglienza, è necessario purificarci prima della cultura del sospetto, che pervade un po’ tutta la mentalità occidentale contemporanea. Pregiudizi antichi e moderni, di stampo anticlericale, non sono stati ancora completamente superati e allignano nello stesso popolo di Dio. Lo spettacolo della cronaca, manipolata per far notizia, ha infuso progressivamente nel cuore di molti l’abitudine a dubitare, a sospettare di messaggi e messaggeri. La critica che pervade la nostra cultura ci porta a considerare il dubbio come valore. Il rischio grave è quello di disamorarci della verità e di restare chiusi di fronte a coloro che, per la verità, sacrificano se stessi. Accogliere vuol dire invece dar fiducia, ascoltare con attenzione, dar credito ai valori e alle persone che intendono testimoniarli.

fra Corrado

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Giugno 2002

Vacanze si... ma da cristiani

L'episcopato italiano insiste molto sulla necessità del riposo e delle vacanze, raccomandando però ai fedeli di programmarle senza mandare in ferie il Signore. Vacanze diverse dunque, vacanze da cristiani, è stato ripetuto nel documento “Orientamenti per la Pastorale del Turismo“ del competente Consiglio Pontificio. Il credente dovrebbe entrare nella dimensione del turista con attenzione spirituale specifica, per viverne la realtà come momento di grazia e di salvezza. Il campo del turismo è, senza dubbio, uno di quei nuovi areopaghi di evangelizzazione, uno dei vasti campi della civiltà contemporanea, della politica ed economia, in cui il cristiano è chiamato a vivere la sua fede e la sua vocazione missionaria. Coloro che abitano in località turistica hanno l’obbligo di offrire segni concreti di accoglienza. Accompagnare gli ospiti nella loro ricerca di bellezza e di riposo, deve essere frutto del convincimento che quest’uomo è la prima strada che la Chiesa percorre nel compimento della sua Missione. L’espressione più profonda dell’accoglienza si incontra nell’Eucarestia, celebrata e vissuta. Occorre poi creare altri momenti di incontro fra i residenti e gli ospiti, a partire dalle diverse occasioni in cui la comunità locale si riunisce per la celebrazione della fede. Perché non organizzare e programmare incontri, anche con mezzi informativi in località turistiche?! Ricordo con nostalgia gli anni settanta e ottanta, quando durante le mostre missionarie a Castiglion della Pescaia e a Follonica, gruppi di giovani si riunivano nei camping per leggere insieme al sacerdote la Parola di Dio e confrontarsi con essa. Per quanto riguarda i cristiani che vanno in vacanza, accade spesso che molti, durante questo periodo, si dimentichino del Padre Eterno. Lo constatiamo quando, a settembre, abbiamo occasione di domandare da quanto tempo non partecipi all’Eucarestia e non pochi rispondono: «da prima delle vacanze». Ma non di sola preghiera vogliamo parlare. Abbiamo più tempo libero anche per testimoniare l’amore e la solidarietà. A cominciare dalla gestione economica delle vacanze, che deve essere senza sperperi, avendo sempre dinanzi i bisognosi e riservando loro una parte delle risorse disponibili. Ma quella delle vacanze è soprattutto una straordinaria opportunità per intensificare il dialogo familiare. Soprattutto tra genitori e figli. Un’occasione preziosa per assolvere al ruolo di catechisti, con la parola e con l’esempio. Fare vacanze in famiglia è ancora opportunità di arricchimento e condivisione nella cultura, nel rispetto dei valori morali e nella salvaguardia del creato. Ai giovani in particolare auguriamo che, oltre alle esperienze forti con i familiari, sappiano approfittare della Comunità parrocchiale, delle associazioni e gruppi giovanili, per partecipare a campi scuola, corsi di esercizi spirituali, esperienze di volontariato e di condivisione, in terra nostra o presso i popoli in via di sviluppo. Sono senza dubbio momenti che, vissuti in una dimensione di maggiore autonomia e libertà, stimolano e formano alla responsabilità e all’impegno nella fede e nella testimonianza, con atteggiamento missionario.

fra Corrado

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Marzo 2002

I cerchi della missione

I Vescovi italiani all’inizio del Millennio ci hanno proposto un documento di capitale importanza: “comunicare il vangelo in un mondo che cambia“. In esso vengono tracciati gli orientamenti pastorali che dovranno caratterizzare le nostre chiese in questo primo decennio. Quando si afferma che questo mondo cambia, più che sottolineare un dato di fatto, si coglie un’attesa. Il cambiamento, cioè, è veramente desiderato. Ce n’è urgente desiderio, c’è fame e sete di un futuro nuovo e diverso. A questo desiderio, a questa fame e sete, il Vangelo può e deve essere offerto come la vera novità, come una sorgente che rinfranca e rigenera gli animi sfiduciati e affranti. La rivista della Federazione Stampa Missionaria Italiana commenta così il nuovo documento: “Un primo sentimento ci sembra doveroso manifestare ed è di gioia per il fatto che la Conferenza Episcopale Italiana imbocca decisamente la via della Missione. La Conversione Pastorale operata al Convegno di Palermo porta a questa conclusione: non si può vivere il Vangelo senza comunicarlo. Al n° 46 si parla di due livelli di Comunità: il livello Eucaristico, formato dai cristiani che partecipano alla Messa domenicale, e il livello battesimale, formato da quei battezzati che non hanno che rapporti sporadici (in occasioni particolari della vita) e che rischiano perfino di dimenticare il loro Battesimo e di cadere nell’incredulità. La prima comunicazione di Vangelo deve avvenire fra questi due livelli: i cristiani che vanno e partecipano seriamente all’Eucarestia, devono comunicare nel Vangelo con i loro fratelli che ne conservano solo deboli tracce. È la prima uscita che i Vescovi chiedono, si potrebbe dire il primo cerchio della Missione. Lo stesso n° 46 del Documento continua: Se questi due livelli saranno assunti seriamente e responsabilmente, saremo aiutati ad allargare il nostro sguardo a quanti hanno aderito ad altre religioni e ai non battezzati presenti nelle nostre terre. Anche la vera e propria Missione ad gentes, già indicata come paradigma della evangelizzazione dalla Lettera Apostolica Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II, riprenderà vigore e il suo significato diventerà pienamente intelligibile nelle nostre comunità ecclesiali” A mio parere è proprio qui che si colloca l’impegno di ogni Centro Missionario e di ogni servizio di animazione alla missionarietà. Ricordare che fare missione è essere Chiesa. E che mandare missionari, preti o frati, suore o laici, famiglie o equipes tra i popoli e i poveri della terra... e accompagnarli e sostenerli, è compito di ogni comunità cristiana, di ogni parrocchia, associazione o gruppo. Se questo non è assolto, o è assolto in modo evanescente, vengono meno le condizioni per la missione sul nostro territorio. La Missione sul territorio - lo dico per l’esperienza di tanti anni di parrocchia - è sempre in qualche modo, una missione di ritorno. A me piace chiamarla: viaggio Nord-Sud, ma di andata e ritorno.

A cura di fra Corrado

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