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Dicembre 2011

Visite fraterne

Particolarmente difficile è scrivere adesso, a metà Ottobre, anche se in brevi righe, l’editorale per Eco delle Missioni che verrà stampato per il Natale 2011. Questo anticipo è dovuto all’improvvisa programmazione di un prossimo viaggio insieme a P. Luciano, provinciale dell’ordine e all’amico Dr. Andrea Ferri di S. Casciano Val di Pesa, per l’inaugurazione in Tanzania della scuola materna di Kongwa e i laboratori scientifici della scuola media superiore sempre in Kongwa, il pozzo presso la Comunità Masai di Pingarame e inoltre per verificare l’avanzamento lavori della scuola artigianale di Pugu e l’inizio anche in questo villaggio della costruzione di una scuola materna. Importante le visita presso la nuova missione di Kilimamoja, dove hanno iniziato il servizio pastorale, P: Francesco Borri e P. Carlo Serafini. Un nuova regione molto distante dalla storica presenza dei missionari cappuccini toscani in Tanzania. Dalla Diocesi di Dodoma, dove siamo presenti fin dal 1963, siamo saliti circa 600 Km più a nord nella diocesi di Mbulu nel distretto di Arusha. Al ritorno dovremo fare una breve sosta, circa una settimana, in Etiopia, invitati dal nostro confratello Vescovo Cappuccino locale Abume Musie Ghebreghiorghis, per una verifica più diretta sui problemi del Corno d’Africa e per una documentazione dei luoghi evangelizzati dal confratello Cappuccino Cardinal Guglielmo Massaia. In prossimità del Santo Natale, domenica 11 Dicembre, durante un incontro fraterno presso il nostro Centro Animazione Missionaria di Prato, sarà fatta un’accurata relazione documentata sulla realizzazione dei progetti portati a termine e delle altre iniziative alle quali parteciperemo durante il viaggio. Sarà un incontro di informazione sulle mete raggiunte e sui cambiamenti avvenuti presso la missione tanzaniana. Nuove destinazioni e nuove esperienze per la evangelizzazione, per la promozione umana e culturale. Sarà una giornata di fraternità vissuta nella gioia di sentirci fratelli tra noi, con tutti i gruppi della collaborazione missionaria, allargando i nostri orizzonti verso regioni lontane dove la Passione di Cristo continua ad essere presente nelle membra di tanti nostri fratelli.

fra Corrado Trivelli

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Ottobre 2011

La solidarietà dei fatti

Amici carissimi,dopo le ferie e il meritato riposo, che purtroppo non c’è stato per tutti, ripartiamo con gli impegni, che richiedono disponibilità e generosità. Anche se il periodo estivo è meno ricco di appuntamenti ed incontri, non né è però totalmente privo. In giugno abbiamo festeggiato il mio Giubileo Sacerdotale, un’occasione durante la quale abbiamo fatto esperienza di fraterna amicizia. Inaspettata la numerosa partecipazione; di fronte a tanti non meritati segni di affetto e gratitudine, confesso di non essere riuscito a trattenere la commozione. Abbiamo salutato i fratelli missionari che facevano ritorno in terra africana. Tra questi voglio ricordare Fr. Giorgio Picchi, destinato in nuova sede in Kenia, e i Padri Francesco Borri e Carlo Serafini, destinati ad aprire una nuova missione a Rokya, al Nord del Tanzania, presso la Diocesi di Mbulu. Con la collaborazione di volontari laici abbiamo poi realizzato alcuni incontri di Animazione Missionaria in località marittime o in ambienti di felice tradizione cappuccina. A Castiglion Fiorentino presso il Convento, il Gruppo Missionario guidato da Raffaello Segantini programma ormai da molti anni una mostra fotografica, un mercatino e una cena comunitaria, a favore delle missioni: sabato 18 agosto è stata concelebrata l’Eucarestia presieduta da P. Luciano Baffigi, Ministro Provinciale. Oltre a noi due, hanno concelebrato i cappuccini delle Celle di Cortona ed alcuni sacerdoti del castiglionese e della Val di Chiana. Nel mese di Agosto si è ripetuta l’esperienza di condivisione missionaria presso il Centro di Riabilitazione Bambini Motolesi nel villaggio di Mlali (Tanzania). Vi hanno partecipato 12 volontari, accompagnati da P. Flavio Evangelisti. Sono esperienze queste che, oltre a rafforzare la comunione tra noi, ci consentono un segno di solidarietà verso fratelli che stanno vivendo momenti drammatici, specialmente nel Corno d’Africa, da dove ci giungono immagini drammatiche: bambini senza sorriso, in braccio alle loro madri morenti, 12 milioni di persone che rischiano la morte per siccità e mancanza di alimentazione. Di fronte a tutto ciò esclamiamo: “Poveretti“, gridiamo allo scandalo e puntiamo il dito sui presunti responsabili. Tutto giusto, ma non possiamo fermarci alle denunce e rimanere con le mani in mano di fronte alla morte innocente. Come cristiani, dobbiamo pensarci noi per primi, e non limitarci a una vicinanza di preghiera e di compassione; la prima e più importante preghiera, e certamente la più accetta a Dio, è la solidarietà dei fatti. Anche da noi c’è la crisi, è vero; i giovani non riescono a trovare lavoro, nelle famiglie non si riesce più ad arrivare a fine mese… ma laggiù è la dignità dell’uomo ad essere spazzata via, è il diritto di tutti alla vita, al benessere, alla libertà, a scomparire. Cari amici lettori e benefattori, apriamo il nostro cuore, allarghiamolo fino all’Africa, fino alle terre delle nostre missioni. Il dramma va sempre più allargandosi, prima o poi giungerà anche in Kenia e in Tanzania. Non possiamo nasconderci dietro le nostre difficoltà economiche, perché nessuno ci chiede di dare ciò che non abbiamo, o magari di privarci del necessario: la generosità non si misura con la quantità del denaro offerto, ma con la qualità del cuore di chi dona con gioia.

fra Corrado Trivelli

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Giugno 2011

Avere un cuore grande

Sono molte le domande che ci poniamo in questo momento così drammatico che sta vivendo questa nostra terra, domande che vengono rivolte soprattutto a noi sacerdoti e religiosi da molti amici e fratelli di fede. Perplessità su quanto sta avvenendo nell’Africa mediterranea e sembra che oggi ne facciamo le spese noi italiani. Ci si domanda quanto sia giusto essere rimasti da soli a portare il peso di questa migrazione, e perchè non vengono prese delle decisioni a livello europeo e internazionale. Talvolta sentiamo anche affermazioni dure e severe nei confronti di questi numerosi fratelli che fuggono da situazioni di schiavitù, persecuzione e morte. Ho l’impressione che rischiamo di seccare nel nostro cuore le fonti della compassione e dell’accoglienza. Il timore di dover aprire le porte a chi deve fuggire e approda alle nostre sponde, è comprensibile, ma non è segno di responsabilità umana e cristiana. Voglio sottolineare alcuni brani del messaggio che Mons. Francesco Montenegro, vescovo di Agrigento, ha inviato agli abitanti di Lampedusa: “Dico a voi tutti, grazie perché il vostro cuore continua a rimanere aperto a gente che vuole vivere, perché ancora una volta testimoniate che riuscite a non farvi imprigionare dalla paura. Immagino che cosa significhi sentirsi soli, abbandonati e investiti da parole e da promesse a cui è sempre più difficile credere. Continuate a pagare – e non è giusto – quanto non si riesce a decidere nei palazzi di chi amministra la cosa pubblica. Non si possono tener gli occhi chiusi o fingere che la sola forza (il divieto) possa sortire l’effetto desiderato. I problemi dell’Africa sono problemi di tutti, così i problemi di Lampedusa e Linosa non sono solo vostri, ma di tutti. Di là c’è gente che vuole vivere, vuole mangiare, vuole riconosciuta la dignità, se in quei paesi siamo arrivati a questo punto, può anche darsi che ci sia la responsabilità di chi si è preoccupato di colonizzare e creare rapporti vantaggiosi per noi, che siamo da questa parte…”. Il Vescovo poi continua facendo appello alla fede di ciascuno, che richiede atteggiamenti coerenti con ciò che crediamo. Chiede solidarietà, anche se questa comporta rischi e rinunce. Chiede giustizia, ma insiste anche sul fatto che come cristiani dobbiamo rendere il nostro cuore accogliente. È il Signore che ora bussa alle nostre porte e ci fa toccare con mano le miserie del terzo mondo, per le quali tante volte abbiamo pregato. Ma pregato a distanza, senza una viva partecipazione ai problemi di questo mondo, problemi per sentito dire, raccontati da chi andava in missione. Adesso è il nostro territorio ad essere coinvolto e interessato da una missione che passa attraverso l’accoglienza di donne, uomini e bambini; attraverso il dialogo, l’integrazione, la capacità di riconoscerli nostri fratelli. Il Vescovo conclude il suo lungo e toccante messaggio con queste parole “Che Lampedusa e Linosa diventino faro di civiltà, porta e luogo d’incontro e d’amicizia, spazio dove Dio e l’uomo possano ritrovare la gioia della passeggiata pomeridiana. Le vostre sono piccole isole, ma il vostro cuore sia grande, come quello di Cristo, grande come il mondo, e una nuova alba spunterà.

fra Corrado Trivelli

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Marzo 2011

Disagi e speranze

Non sono mai stato missionario a tempo pieno, ma posso affermare che la missione è sempre stata nel mio cuore. Il servizio che si svolge al C.A.M. di Prato, specialmente in favore delle missioni in Tanzania e in Nigeria, dove sono presenti i cappuccini toscani, ci rende prossimi all’Africa, soprattutto quando abbiamo l’opportunità di fare esperienze di condivisione, a tempo determinato, con i nostri confratelli missionari e con le popolazioni locali. Tutto questo ha fatto crescere in me, e in coloro che condividono queste esperienze di comunione, un grande amore per questa terra e per la sua gente. Ecco perché provo un profondo senso di disagio quando avverto che ancora in diversi ambiti, anche ecclesiali, e in persone credenti, permane una mentalità razzista, atteggiamenti sprezzanti e rapporti con gli africani immigrati che richiamano la triste epoca del colonialismo. Sentire negli autobus, nei pubblici locali, e perfino all’interno dei gruppi e associazioni che si dicono cattoliche, affermazioni di intolleranza, di insofferenza per la presenza di “negri” nella nostra società… oppure ascoltare certe trasmissioni televisive in cui si accredita l’idea che essere nati in Africa è una sfortuna, mi crea grande irritazione. E mi ferisce quando, con linguaggio tragico, si fa riferimento all’Africa come luogo di accattonaggio e di persone disimpegnate, oppure come terra dell’eterne carestie, per superare le quali niente viene fatto oppure, ancora, come la terra delle sanguinose guerre civili e fratricide. Sono giudizi ipocriti e approssimativi, dettati da ignoranza crassa circa i veri problemi dell’Africa, di chi non tiene conto che questo continente immenso è costituito da 59 nazioni e da una miriade di etnie e tribù diverse, con realtà e situazioni variegate e diversissime fra loro. È profondamente ingiusto, quindi, generalizzare fino ad attribuire a tutto il continente, fenomeni negativi che sono presenti solo in alcune regioni. Inoltre ci si ostina a ignorare che la causa di certe povertà risiede nelle condizioni atmosferiche avverse e nella mancanza di acqua. Si afferma che l’Africa deve salvarsi da sola, però il mondo occidentale continua a sfruttarla, e non fa nulla per mettere quelle popolazioni in grado di compiere un cammino più autonomo. Non voglio ora ripetere ai tanti amici, giudici severi, ciò che più volte abbiamo fatto presente in questa rivista, a cominciare dai valori che abbiamo perduto e che abbiamo riscoperto in Africa. Voglio invece ricordare che ogni cultura, e quindi anche la nostra, deve rigenerarsi nel mutare delle situazioni, pur nella salvaguardia dei principi che sostengono la propria identità di fondo, e deve farlo nel rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona, a qualunque razza o nazione appartenga. Credo che la nostra civiltà debba misurarsi di più sull’attenzione ai suoi membri più indifesi, per cui dobbiamo dire con forza: un cambio di linguaggio, e dunque di mentalità, nei confronti degli immigrati, che sono i più indifesi, è urgente! Ciascuno di noi deve imparare ad accogliere e a rispettare chi viene a vivere tra noi nella sua unicità, apprezzato nella sua diversità, riconosciuto per la comune umanità ereditata dall’unico Padre, il Signore Nostro Dio. E soprattutto dobbiamo cercare di sostenere questi nostri fratelli nell’affrontare le inevitabili difficoltà di trovarsi in un paese sconosciuto, dove molti sono stati costretti ad approdare, non certo per libera scelta.

fra Corrado Trivelli

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Dicembre 2010

Sorpresa!

In occasione di un incontro di Animazione Missionaria in Versilia, ho conosciuto un signore di Alessandria che, avvicinatosi, mi ha chiesto se fossi io Frate Corrado delle Missioni Estere dei Padri Cappuccini Toscani. Alla mia risposta affermativa ha aggiunto: “Finalmente mi è data questa felice occasione: da tempo desideravo conoscerla, poiché sentivo il bisogno di comunicarle alcuni sentimenti nati in me da quando leggo la vostra rivista. Conosco da tempo “Eco delle Missioni“, entrato da anni nella casa paterna dove sono cresciuto. Mia madre, ora molto anziana, si gloria di essere stata una delle prime ad abbonarsi, fin dai tempi in cui alla direzione del Segretariato vi era il P. Bernardo Gremoli, adesso Vescovo, e di essere stata vicino al P. Lanfranco Iozzi, missionario in India, per la costruzione e l’assistenza della scuola S. Giuseppe in Rampur. Mi confessò che negli anni della sua adolescenza e giovinezza, mai aveva preso in considerazione questa rivistina, giudicandola il solito foglio di propaganda religiosa distribuito dalle comunità parrocchiali ai propri fedeli praticanti. “Dall’anno giubilare sono stato mosso -mi ha detto- da una certa curiosità, soprattutto attratto dalle belle copertine; da allora, piano piano, insieme a mia moglie e poi con i miei ragazzi più cresciutelli, siamo diventati assidui lettori. In essa ho trovato contenuti e testimonianze che hanno contribuito a rendermi più partecipe alla vita cristiana e a rendermi più solidale con la sofferenza presente nel mondo”. Perciò da tempo questo amico, di nome Giovanni, desiderava contattarmi per inserirsi in qualche progetto del C.A.M, e soprattutto indirizzare i suoi figli verso le nostre esperienze di condivisione. E ha concluso: “Lei forse stenta a crederlo, ma se oggi la mia famiglia è un po’ più cristiana lo dobbiamo anche a questa vostra rivista missionaria!". Ovvia la mia sorpresa, seguita da una viva soddisfazione e la riconoscenza per i complimenti fatti al nostro periodico, ben valutato e apprezzato. Per cui voglio ringraziare il Signore per questo servizio, che giunse inaspettato sulle mie spalle e che mi ha fatto crescere nella fede e mi ha portato a conoscere tante persone splendide, soprattutto giovani in ricerca di valori e di impegni, che rendono più significativa la vita. Questo mi ha portato a dare più importanza alla parola di Dio e alla Preghiera, a trovare i modi di comunicazione più adeguati a questo tipo di pubblico, a confrontarmi con lettori di ogni età e provenienza. Al di là del positivo riscontro editoriale è stata un’esperienza umanamente e cristianamente edificante. È davvero un dono della Provvidenza scoprire che il proprio lavoro è utile a qualcuno. E questo vale per tutti: per un babbo, per una mamma, per un frate, o un insegnante. Per un sacerdote poi la gioia è maggiore quando l’essere utile al prossimo va al cuore del proprio servizio, alla possibilità di aiutare ad incontrare Dio, ad amare più “l’Altro“, a sperare in un domani più sereno e felice. Alla Vigilia del Santo Natale intendo estendere il grazie più vivo e fraterno a tutti i collaboratori del CAM e a quanti lavorano a questa rivista, cui auguro di fare ancora tanto bene. Inoltre auguro che il Verbo di Dio, fattosi carne nella grotta di Betlemme, che ha proposto agli uomini di ogni tempo un itinerario di amore e riconciliazione, illumini tutti voi cari amici e tutta l’umanità per ritrovare la strada che porta ad incontrare l’Altro nel dialogo, nell’amicizia e nel rispetto profondo.

fra Corrado Trivelli

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Ottobre 2010

Quei bei grappoli maturi

I mesi di settembre e di ottobre ci richiamano ancora alla vita agricola, alla raccolta dell’uva in particolare. Al periodo delle vendemmie. Chi di noi non ha avuto, almeno per una volta, la fortuna di far parte di qualche allegra brigata, gruppi di amici con i quali condividere questo lavoro attraverso filari di viti. Cantando e scherzando, accusando anche un certa fatica, ma sempre con serenità, nella speranza che da quei grappoli esca un vino di qualità, che darà un tono, un calore ai momenti conviviali fraterni. Si vendemmia nella speranza di un vino nuovo; si raccoglie per attendere e per seminare di nuovo. Sono mesi questi in cui si riparte, almeno per quanto riguarda le attività professionali e anche pastorali per le nostre chiese. Dopo un periodo estivo tanto atteso e altrettanto fugace. Periodo in cui c’è il rischio che, al dire di S. Giovanni Bosco, il demonio faccia la sua vendemmia. Forse per qualcuno è stato così. Ognuno faccia il suo esame di coscienza. La mia esperienza è stata diversa. Nei mesi estivi ho invece costatato un’abbondante vendemmia del Signore, in cui non è mancato il raccolto seminato in verità. Così, insieme al gruppo di giovani con i quali ho condiviso l’esperienza missionaria in Tanzania, in questa ripartenza settembrina non abbiamo ceste vuote, ma ci troviamo arricchiti di tanti bei frutti in termini di relazioni e amicizie nuove e ritrovate, di lavoro spirituale, di preghiera e di lavoro, anche materiale, che ci ha fatto crescere e che non vogliamo dimenticare. Esperienze sia all’interno del gruppo, sia con i missionari e con i locali, senz’altro efficaci, da non lasciar cadere. Anche in luglio e in agosto ci può cogliere la sorpresa, senza attendere vendemmie settembrine, di trovarci nella mani frutti che non sappiamo di aver seminato e coltivato proprio noi. Sono frutti, uno diverso dall’altro, ognuno ha un suo nome, ma sono tutti uniti da un prezioso dono del Signore. Il dono di averli chiamati a partecipare alla sua vita divina mediante la grazia concessa attraverso Gesù Cristo, suo Figlio e nostro Signore. Grazie Signore per avermi dato ancora un raccolto in questa estate 2010.

fra Corrado Trivelli

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Giugno 2010

Quello sguardo verso il Cielo

Preparando l'Editoriale, non posso fare a mano di farmi guidare dalle letture del periodo liturgico, quello che va da Pasqua alla Pentecoste dove ascoltiamo testimonianze di una Chiesa che cresce. Il libro degli Atti si apre con la partenza di Gesù da questa terra. Egli aveva convocato i suoi là, dove era partito, dalla Galilea dei gentili. La missione terrena è compiuta, ma non la sua opera che dovrà continuare sino alla fine dei secoli. Lasciando i suoi discepoli, testimoni della sua morte e risurrezione, comanda loro di andare per il mondo a predicare, battezzare e rimettere i peccati, in forza dello Spirito Santo che scenderà su di loro. Non avevano ben capito che toccasse a loro, infatti Luca riferisce che vennero rimproverati da due messaggeri che dicevano: “Uomini di Galilea, perchè restate a guardare il cielo?" Il giorno di pentecoste, con la discesa del Divino Spirito comprenderanno meglio quelle parole. Intanto si apriva una parentesi di secoli, di millenni… in cui sarebbe toccato a loro, e conseguentemente ai fedeli di ogni tempo, testimoniare la verità di Gesù e condurre gli uomini alla salvezza. Un movimento di secoli stava per iniziare, un movimento anche fisico, in quanto erano invitati a raggiungere tutta la terra! A farsi missionari e portatori di un massaggio che avrebbero dovuto conoscere “tutte le genti“. Un compito che è affidato anche a noi, come ha ricordato recentemente ai preti e ai laici, Benedetto XVI. «Non ci è stato assicurato il successo. Il compito è proprio questo: “Andate – annunciate“» I Vescovi più volte hanno invitato le Comunità cristiane ad educare all’impegno sociale e politico. In un recente documento si legge: “Evangelizzare è il fine della Chiesa… essa esiste per questo: annunciare Gesù Cristo, e la misericordia del Padre è il cuore del vangelo da portare, con fiducia e con sforzo agli uomini e alle donne del nostro tempo“. L’insegnamento di Gesù è estremamente concreto non è certo quello di un filosofo, si è fatto vicino all’uomo, alla sua situazione esistenziale: gioie, fatiche, dolori, difficoltà. Così deve essere l’agire della Chiesa e di tutti coloro che vi appartengono. Non gente astratta e distratta, disincarnata, con la testa tra le nuvole. Come si ricava anche dagli ultimi documenti del Papa… ”la missione della Chiesa è anche quella di educare alla socialità, alla giustizia, alla trasformazione del mondo del lavoro, formare ad un serio impegno politico e ad una prassi economica umanizzata, coinvolgersi nella gestione delle realtà terrene. È anche questo fare missione. Sono parole chiare, che non lasciano adito a riserve o a tentennamenti.

fra Corrado Trivelli

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Marzo 2010

Testimoni della Speranza

Anche quest’anno voglio rivolgere a voi tutti, amici e fratelli vicini e lontani, l’augurio che nasce dall’annuncio gioioso e inaudito della notte di Pasqua: “Il Signore è Risorto!”, non è una favola, un mito, ma la testimonianza storica di Maria di Magdala, di Pietro e Giovanni. La nostra speranza e la nostra fede trovano in loro un valido fondamento. Fede e speranza, ecco il bisogno dell’uomo. E’ vero che spesso si chiudono gli occhi di fronte alla realtà fingendo che le cose vadano diversamente. Ma quando l’esperienza della caducità e della morte appare in tutta la sua evidenza, allora si è tentati di disperazione. L’illusione e la disperazione sembrano essere l’unica alternativa alla nostra realtà quotidiana. Stando ai nostri sensi, alla nostra ragione, sullo stesso Calvario ha vinto la morte. Sulla Croce troviamo un cadavere: “Quel Gesù di Nazareth, che passò beneficando e sanando tutti“, è l’esperienza dei discepoli di Emmaus… è effettivamente morto, appeso a un legno. Ma ecco l’inaudito, Il mattino di Pasqua è risuonato l’annuncio: “Cristo è Risorto”. L’impossibile è diventato possibile, la vita ha trionfato sulla morte. La morte non è più l’ultima parola. E’ solo nella fede - e noi siamo con la fede - che si può accogliere la sconvolgente verità: “Cristo è Risorto e, poiché Egli è la Primizia, c’è una Risurrezione per tutti, per ogni uomo e per tutto il creato”. E’ ciò che nella liturgia ogni anno noi riviviamo, specialmente nella celebrazione della Veglia Pasquale, durante la quale annunciamo che tutto in Cristo Risorto si rinnova. In Lui una nuova luce, una nuova vita in tutte le cose; tutto in Lui si rigenera, soprattutto il cuore dell’uomo, come la celebrazione ci indica, invitandoci alla rinnovazione delle promesse battesimali. Il Figlio di Dio ha unito la sua sorte personale alla nostra: “Se Egli è risorto anche noi risorgeremo”, se Egli si è liberato dalla morte, anche l’umanità potrà rigenerarsi spezzando i cerchi di morte che l’opprimono: sopraffazioni, ingiustizie, violenze, egoismi, peccati personali e collettivi. Il cristiano sa che la croce della propria vita è una realtà inevitabile. La sofferenza, forse anche la tragedia, è sempre possibile, ma la speranza fondata sulla Resurrezione non lo autorizza ad arrendersi, a cedere allo sconforto. Altri possono anche rassegnarsi, assuefarsi, ma il cristiano non può, perché sa che, in ultima analisi, la carta vincente è quella di Gesù Risorto. Il Messaggio della Pasqua non ci apre solo alla speranza, ma ci chiama ad essere portatori di speranza, e cioè promotori di vita, continuatori della nuova creazione iniziata con la Risurrezione. È una proposta concreta a vivere la nostra vocazione missionaria: “Va’ a dire ai miei fratelli…” dice Gesù alla Maddalena. Il dono della speranza, di cui i credenti sono destinatari, è anche un compito: il dono va donato, perché anche altri si aprano alla gioia, al fascino della vita, gioia e vita che scaturiscono dal Risorto. Fare Pasqua, allora, è vivere ogni giorno, ogni momento, come testimoni della speranza.

fra Corrado Trivelli

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Dicembre 2009

Aiutare ad aiutarsi

Amici carissimi, intendo in questo mio breve intervento dare una risposta a coloro che, preoccupati del mio stato di salute, hanno cercato di dissuadermi dall’intraprendere nuovi viaggi e progettare ancora visite nelle missioni africane. Ringrazio innanzitutto per la premura che rivela l’affetto fraterno nei miei confronti, ma di fronte a certe necessità mi sento spinto a non tirarmi indietro e faccio mio il detto paolino: "l’amore per il vangelo mi sospinge". Non mi giudicate presuntuoso, ve ne prego, perciò voglio confidare a voi la motivazioni che mi hanno portato ancora una volta a visitare i fratelli della Nigeria. Sono rimasto suggestionato e emozionato dal grido di Benedetto XVI: "Alzati Africa!", pronunciato al termine dell’Omelia il 22 Marzo scorso a Luanda in Angola. "Alzatevi, ponetevi in cammino. Guardate al futuro con speranza, confidate nelle promesse di Dio e vivete nella sua verità. In questo modo costruirete qualcosa destinato a perdurare e lascerete alle generazioni future un’eredità durevole di riconciliazione, di giustizia e di pace". Al questo grido si aggiunge il messaggio dello stesso Pontefice per la giornata missionaria mondiale, celebrata il 18 Ottobre: "Le Nazioni cammineranno alla tua luce" (Ap. 21,24). Durante il Sinodo della Chiesa africana i Padri sinodali hanno condotto i loro studi e lavori alla luce di questi messaggi, confermando la volontà e la necessità di liberarsi dallo sfruttamento di organizzazioni del mondo del sovrasvilluppo, che solo apparentemente manifestano condivisione e solidarietà, e impegnare le Chiesa dell’Africa e le popolazioni a camminare autonomamente. In primo luogo promettendosi l’impegno di vivere il Vangelo e non solo come servizio alle comunità cristiane, ma come annuncio di salvezza e di promozione per tutti quelli che ancora non lo sconoscono e sono alla ricerca sincera della verità. È stata ribadita la necessità dell’inculturazione, per evitare un tipo di colonialismo religioso e culturale. È stato anche ripetuto, ciò che da tempo e da più parti è stato richiesto: "non rifiutiamo gesti di solidarietà e di amore fraterno, purché siano mirati ad aiutarci a camminare da soli". Ecco le risposte alle domande, ecco perché nella nostra stampa invitiamo a prestare attenzione ad una porzione di Africa che in effetti, come documentiamo, ha iniziato timidamente un cammino più autonomo, ecco il motivo dei miei viaggi e delle mie ripetute visite, dei miei ritorni sia in Tanzania che in Nigeria: per aiutare i fratelli africani ad aiutarsi da soli.

fra Corrado Trivelli

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Ottobre 2009

Ottobre Missionario

Siamo di nuovo in ottobre, mese che nella tradizione della Chiesa è chiamato "missionario". Tempo propizio per allargare gli orizzonti della fede, per sentire nella nostra esperienza il grido del bisogno di Dio che si alza da tanti luoghi posti ai margini del pianeta, dove due terzi della popolazione mondiale conduce un’esistenza dolorosa, perseguitata da enormi problemi spirituali e materiali. "La passione per il Vangelo mi sospinge", dice l’Apostolo Paolo, e noi aggiungiamo col Cardinale Carlo Maria Martini: "Nell’impegno dell’evangelizzazione la passione è una spinta necessaria e insostituibile, perché capace di superare ogni ostacolo rappresentato dal vuoto di ideali e di valori, da un’etica individualistica e utilitaria, da un modello consumista che nonostante le crisi accusate, domina sempre di più". Tutto ciò sta rendendoci meno capaci di interessarci ai problemi degli altri, rivelando pigrizia nell’accogliere nel nostro vissuto il mondo della missione: è diminuito infatti l’interesse per la stampa missionaria e sono sempre meno partecipati i momenti di formazione e i convegni sulla evangelizzazione "ad Gentes". I gruppi che si organizzano per un’esperienza di condivisione missionaria, all’inizio si caricano di entusiasmo, ma al ritorno si disperdono e difficilmente perseverano nella disponibilità alla collaborazione. Per molti fedeli, ma anche religiosi e sacerdoti, è venuta meno la passione, che è l’ottimismo della fede in Dio “che si rende concreto e praticabile nella storia di ciascun credente, nel momento in cui fa spazio nella propria vita all’essenziale, a Colui che attraverso lo Spirito genera novità di vita" (Giovanni Paolo II “Tertio M. Ad. 12). Ai giovani convenuti ad un incontro di preghiera il Cardinal Martini diceva: "Bisogna guardarsi da tante cose che realizziamo, anche giuste, ma che nascono dal bisogno di autogratificazione e di autoconsolazione e che finiscono per rimanere fine a se stesse. L’umanità ha bisogno di essere guarita dai tanti mali che le impediscono di dialogare con Dio, Padre di tutti". Vogliamo riprendere con l’Ottobre Missionario il cammino di Animazione Missionaria nei nostri gruppi, nelle fraternità, nelle parrocchie, ripartendo da Dio, da ciò che conta, che a tutto dà senso. E vogliamo vivere questo tempo in pienezza, sapendo che stiamo costruendo il Regno di Dio, regno di giustizia e di pace, regno di fraternità e di misericordia, recuperando e testimoniando una passione missionaria travolgente, essenziale e soprattutto "corale".

fra Corrado Trivelli

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