Marzo 2011

Disagi e speranze

Non sono mai stato missionario a tempo pieno, ma posso affermare che la missione è sempre stata nel mio cuore. Il servizio che si svolge al C.A.M. di Prato, specialmente in favore delle missioni in Tanzania e in Nigeria, dove sono presenti i cappuccini toscani, ci rende prossimi all’Africa, soprattutto quando abbiamo l’opportunità di fare esperienze di condivisione, a tempo determinato, con i nostri confratelli missionari e con le popolazioni locali. Tutto questo ha fatto crescere in me, e in coloro che condividono queste esperienze di comunione, un grande amore per questa terra e per la sua gente. Ecco perché provo un profondo senso di disagio quando avverto che ancora in diversi ambiti, anche ecclesiali, e in persone credenti, permane una mentalità razzista, atteggiamenti sprezzanti e rapporti con gli africani immigrati che richiamano la triste epoca del colonialismo. Sentire negli autobus, nei pubblici locali, e perfino all’interno dei gruppi e associazioni che si dicono cattoliche, affermazioni di intolleranza, di insofferenza per la presenza di “negri” nella nostra società… oppure ascoltare certe trasmissioni televisive in cui si accredita l’idea che essere nati in Africa è una sfortuna, mi crea grande irritazione. E mi ferisce quando, con linguaggio tragico, si fa riferimento all’Africa come luogo di accattonaggio e di persone disimpegnate, oppure come terra dell’eterne carestie, per superare le quali niente viene fatto oppure, ancora, come la terra delle sanguinose guerre civili e fratricide. Sono giudizi ipocriti e approssimativi, dettati da ignoranza crassa circa i veri problemi dell’Africa, di chi non tiene conto che questo continente immenso è costituito da 59 nazioni e da una miriade di etnie e tribù diverse, con realtà e situazioni variegate e diversissime fra loro. È profondamente ingiusto, quindi, generalizzare fino ad attribuire a tutto il continente, fenomeni negativi che sono presenti solo in alcune regioni. Inoltre ci si ostina a ignorare che la causa di certe povertà risiede nelle condizioni atmosferiche avverse e nella mancanza di acqua. Si afferma che l’Africa deve salvarsi da sola, però il mondo occidentale continua a sfruttarla, e non fa nulla per mettere quelle popolazioni in grado di compiere un cammino più autonomo. Non voglio ora ripetere ai tanti amici, giudici severi, ciò che più volte abbiamo fatto presente in questa rivista, a cominciare dai valori che abbiamo perduto e che abbiamo riscoperto in Africa. Voglio invece ricordare che ogni cultura, e quindi anche la nostra, deve rigenerarsi nel mutare delle situazioni, pur nella salvaguardia dei principi che sostengono la propria identità di fondo, e deve farlo nel rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona, a qualunque razza o nazione appartenga. Credo che la nostra civiltà debba misurarsi di più sull’attenzione ai suoi membri più indifesi, per cui dobbiamo dire con forza: un cambio di linguaggio, e dunque di mentalità, nei confronti degli immigrati, che sono i più indifesi, è urgente! Ciascuno di noi deve imparare ad accogliere e a rispettare chi viene a vivere tra noi nella sua unicità, apprezzato nella sua diversità, riconosciuto per la comune umanità ereditata dall’unico Padre, il Signore Nostro Dio. E soprattutto dobbiamo cercare di sostenere questi nostri fratelli nell’affrontare le inevitabili difficoltà di trovarsi in un paese sconosciuto, dove molti sono stati costretti ad approdare, non certo per libera scelta.

fra Corrado Trivelli

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