INCONTRO TRA MISSIONARI
P.Egidio

P. Egidio nella sua Chiesa di MbugaVoglio ricordare quel passo del Vangelo che ci pone davanti una scena gioiosa e se si vuole anche patetica, quando gli Apostoli e i Discepoli, ritornando da un viaggio di predicazione, entusiasti e felici si raccontavano le loro esperienze: le folle che ascoltavano, i malati che guarivano e di come i demoni scappavano gridando di rabbia dopo la preghiera dei seguaci di Gesù. Così è stato l’incontro tra due missionari che partirono da Venezia il 6 giugno del 1969 per il Tanzania.

Era morto il Papa Buono e quando arrivammo a Mogadisho fu eletto Paolo VI. Il Concilio Vaticano II era in corso e il Tanzania aveva la sua libertà da appena sei mesi. Partimmo in cinque e siamo rimasti in tre! Due sono in Italia a dare ancora, fino all’ultimo, la loro testimonianza di missionarietà in una Europa che sente il bisogno di prove forti per credersi ancora portatrice di civiltà, di pace e di giustizia tra i popoli.

Pochi giorni fa sono andato a S. Casciano Val di Pesa a trovare il Sandro (P. Alessandro Merighi) ottantatreenne un po’ ricurvo ma sempre affaccendato in tante cose del convento. Quando eravamo insieme in Tanzania, io ero il giovanotto della brigata e per questo forse mi sono stati appioppati i diversi nomignoli: da Fidel Castro, Padre cinque minuti, Ministro della difesa, Sandokan, fino a Quello della notte. P. Tommaso Bargagli uomo saggio era il più anziano e fu chiamato il nonno; P. Alessandro per la sua tempra di spirito e risolutezza fu nominato martello; fra Donato il Bassotto per la sua statura, ma nessuno lo chiamava così, tutti si limitavano a mettere una mano al livello della spalla dicendo semplicemente Fra’. P. Pietro il frate dai cento mestieri, dai più pesanti (come la posa delle tubazioni per acquedotti) ai più delicati, dove si richiedeva la lente d’ingrandimento (riparazione di orologi e radio). Forza fisica da vendere e te la faceva sentire con le sue mani che ti stringevano come una morsa.

Sì, sentivo il bisogno di ritrovare qualcuno che ha dato tanto per la Missione di Mpwapwa, nata perché voluta come una donazione di amore alla Chiesa da una Provincia Cappuccina, che già sentiva la crisi vocazionale. Il Padre Provinciale, P. Pancrazio lo disse a Montughi prima della nostra partenza:«La Provincia accetta con entusiasmo questo nuovo compito e che il Signore benedica con nuove vocazioni».

Ci siamo ritrovati, P. Alessandro ed io, e ritornando con la mente ai tempi antichi abbiamo rifatto quella strada con tutti i suoi bei momenti e quelli meno belli; ed il risultato è che l’esperienza è stata bella ed ha portato molto frutto. Qualcuno ha detto che Mpwapwa è finita! Ma come si fa ad affermare questo? I genitori muoiono ma lasciano dei figli, questa è la vita. E pensare che anche la Nigeria è potuta iniziare perché vi era stata Mpwapwa. Mistero della Divina Provvidenza! Ma guardiamo al lavoro e rivediamo le nostre missioni, parrocchie, Mpwapwa, Kibakwe, Kinusi, Rudi, Mbuga, Lumuma, Kongwa, Mlali, Kibaigwa, Dar Es Salaam, Centro handicappati di Mlali, scuole, asili, dispensari, strade, ponti e acquedotti. Otto preti, quattro diaconi, tre fratelli laici cappuccini, venti suore, quindici seminaristi, tre fratelli di altri ordini.

Studenti assistiti agli studi, con o senza adozioni, un infinità, ogni Missione si regola come può. Abbiamo maestri diplomati, poliziotti, segretari governativi, ministri e non ultimo, il presidente della Repubblica è un nostro parrocchiano ed ex seminarista. Una moltitudine di cristiani, oltre 50.000. Forse si poteva far di più, ma questo è un mistero che solo Dio sa e può svelare. Pensando a Cristo sulla croce, ne aveva ben pochi lì vicino e certamente si sa che i più erano nascosti, travolti e stupiti dalle forze delle tenebre. Mistero? Se il chicco non viene nascosto sotto terra e muore non porta frutto. Allora che cosa dobbiamo dire di Mpwapwa? Vedete succede come nella savana africana: prima delle piogge è tutto secco, arido, bruciato, poi arriva la prima pioggia e tutto si risveglia e un manto di erba verde si stende senza confini. Ma se la seconda pioggia ritarda tutto intristisce e secca: allora è tutto finito? Ma no! Ci sono dei semi che sono ancora nascosti sotto terra e non sono marciti alla prima pioggia e aspettano il loro turno con una pazienza impressa nella loro linfa vitale da milioni di anni. La pioggia ritorna e loro nascono.

Quanti cristiani battezzati cinquant’anni fa dai primi missionari in quel di Mpwapwa oggi sono i pilastri dei nostri consigli parrocchiali; quanti di loro quando videro i missionari partire si domandarono: e ora cosa faremo? P. Alessandro mi chiede ancora se ci sono tutti e io gli rispondo: sì, ci sono tutti, anche quelli morti, perché loro sono quelli che hanno la vera vita, che tu missionario gli hai donato e con il loro esempio di fede semplice, di povertà assoluta, di vita onesta tramano una rete che riesce ad intrappolare tanti pesci che quasi si rompe. E tu P. Alessandro, tu P. Pietro, tu P. Tommaso. Fr. Donato… continuate a tirare questa rete che non si rompe perché quelli dell’altra barca sono già arrivati e vi aiutano.

Manca solo l’ultimo atto che è la conta definitiva ma quella sarà alla data che solo Dio sa.

Ciao Sandro, ciao Pietrino. Io sono ancora a reggere stretta la rete perché non se ne perda neppure uno, perché questa è la volontà del Padre.q

I MIEI TRENT'ANNI IN AFRICA
Frá Giorgio Picchi

Frá Giorgio e P.Egidio ... trent'anni fáAnno 1971 mese di giugno. Mentre mi trovavo in cucina nel grande convento di Pisa, vennero a trovarmi P. Mario Maccarini e Tommaso Bargagni. P. Mario mi domandò: «Perché non vieni in Missione?» Gli risposi che io non sapevo altro che cucinare. La sua risposta fu: «I lavori sono tanti, prova e vedi». Mi aveva proprio toccato nel vivo: da tempo avevo questa vocazione, ma mai mi ero pronunciato. Accettai.

Feci domanda ai superiori come di consuetudine, passarono tre mesi e arrivò la risposta di approvazione. Non ci credevo: partire missionario!

Passai il mese di dicembre a Firenze al Segretariato delle Missioni. Ne parlai ai parenti, specialmente al babbo. Non vi dico la reazione, una sua nuova sconfitta dopo la mia vocazione di frate, che aveva ostacolato. Mi disse: «speriamo che qualche negra ti faccia cambiare idea!». Era proprio nero! Per ben quattro mesi non mi cercò e non mi scrisse.

Il giorno della partenza (6 gennaio 72) ero con P. Daniele Cerofolini, (vecchio missionario dell’India). Non ricordo quanti Rosari dicemmo. Ero bloccato dalla paura di smarrirmi, non ero mai uscito da Livorno e Pisa. Io, che non avevo fatto più di dieci passi fuori di casa, mi ritrovai improvvisamente in un altro mondo. Ci accolsero all’aeroporto P. Carlino e il Saracini. A Upanga mi accorsi di aver perso l’ombrello, ma lì con quel sole non mi importava più.

Tra i frati conoscevo solo P. Federico. Il giorno dopo mi fu detto di dover partire, ancora non ero giunto a destinazione. Ma dove ero capitato? Ancora avevo davanti a me l’immagine della Torre di Pisa! La mattina partimmo presto con una Ford guidata da P. Egidio Guidi. Mi volle accompagnare anche P. Daniele preoccupato per me e mi fece molto piacere perché con lui mi potevo sfogare. Per la strada fui colpito nel vedere quante donne erano vestite di nero con il velo e pensai: quante vocazioni di suore ci son qui in Africa! Solo dopo mi fu spiegata la loro vera identità.

Molta strada non era asfaltata, peggio di un campo arato. La macchina, pur essendo grossa, spariva nelle buche, non si andava più di venti all’ora.

Arrivammo a Kongwa alle sei di sera, non mangiammo nemmeno, ma neanche avevamo fame tanta era la polvere che avevamo ingoiato. Ero rosso e a stomaco pieno! Gesù dove mi hai mandato!

Era buio, i padri stavano nella vecchia missione, la nostra non era ancora costruita. Dopo tanti abbracci e baci ci mettemmo a tavola a lume di petrolio, sembrava di essere tornati indietro di 50 anni. Parla te che parlo io, quando si arrivò per andare a letto, per me non c’era! E dove mi misero? Fecero posto in uno stanzino e ci infilarono un letto. Entrai al buio, mi diressi verso il letto e senza guardarmi intorno mi addormentai pur sentendo uno strano odore acre. Solo la mattina mi accorsi che ero insieme a barattoli di vernice, lamiere, chiodi, insomma in un magazzino! Bel mi’ letto di Pisa!

Le difficoltà dei primi mesi furono molte anche perché non conoscendo la lingua non riuscivo a comunicare e i malintesi erano frequenti e a volte divertenti. Tre mesi a Kongwa, un anno a Mlali, dove con P. Egidio e Fr. Paolo iniziammo la Missione (1972); di nuovo a Kongwa e poi tre anni a Lumuma e poi Mpwapwa e Kinusi e poi… ora sono già tre anni che sono a Dar Es Salaam vicino all’aeroporto pronto per ripartire, per dove non so.

Mi ricordo quel giorno lontano quando dissi a P. Mario di non saper far nulla e da allora quanti lavori ho dovuto fare! Certamente nella vita missionaria ci saranno tante fatiche, incomprensioni, disagi ecc. però c’è una cosa che prevale su tutto questo e ti fa ricominciare da capo: il mal d’Africa.q

ALCUNE MIE ESPERIENZE COME CAPPUCCINO
Frá Moses Agent

Onitsha - Fra Moses (prima fila in piedi, il 3° da sinistra) La vocazione è per me una realtà misteriosa. Nessuno può sfuggire alla chiamata di Dio, e quando chiama, nessuno può voltargli le spalle. È una cosa personale che riguarda te e Lui; nessun altro può intromettersi. Dio chiama le persone a diversi stati di vita e a ciascuno dà il suo sostegno divino.

Sono venuto a conoscenza dei Cappuccini quando ero nel seminario minore a Ibadan.

Quando, all’inizio del 1988, andai per la prima volta a visitarli a Onitsha fui colpito dalla loro semplicità e spontaneità. Rimasi così affascinato dal loro stile di vita che volli entrare subito.

Durante il periodo della mia formazione iniziale, anche se ho avuto dei momenti di difficoltà, le cose cominciarono ad aprirsi e non mi sono sentito disorientato, sapendo bene che in ogni buona impresa è normale passare attraverso difficoltà. Essendo cosciente di questo non ebbi mai né un minimo dubbio sulla mia vocazione né una preferenza per un altro stato di vita.

Gli eventi di ogni giorno mi svelavano l’unicità della mia vocazione come francescano-cappuccino. Anche oggi non posso spiegare perché preferisco questo tipo di vita a molti altri. Amo tanto questa vita che le difficoltà non contano per me, sapendo bene che dopo la pioggia viene il sole.

Come giovane trovo la mia realizzazione personale nella chiamata allo stile di vita francescano. L’aspetto francescano della fraternità è meraviglioso perché si vive e si fanno le cose insieme. Secondo me la nostra vita fraterna può essere favorita da uno spirito di accettazione. In altre parole, essere capaci di vedere Cristo in ogni fratello, vuol dire riconoscere che siamo tutti creati dallo stesso Dio, a sua immagine e somiglianza. In più il nostro fondatore san Francesco ha detto che ogni fratello è un dono alla comunità.

La natura fraterna della vita francescana è ciò che ho sperimentato personalmente in tutte le comunità dove ho vissuto, sia dentro che fuori della Nigeria. Questa vita comune di condivisione è ciò che ha sostenuto la mia vocazione e mi ha aiutato ad arrivare alla professione perpetua e all’ordinazione sacerdotale.

Adesso abito nella nostra casa di noviziato e postulandato a Onitsha insieme con altri quattro confratelli che sono impegnati nella formazione dei novizi e postulanti alla vita francescana. Sono molto contento di stare in questa casa di noviziato, qui percepisco veramente cosa voglia dire condivisione fraterna.

Questo speciale carisma della vita cappuccino-francescana è un dono prezioso del Signore tramite san Francesco d’Assisi.

lo prego il Signore per l’intercessione di san Francesco e la Beata Vergine Maria affinchè tutti i confratelli cappuccini possano avere questa convinzione.q

PACE E BENE A TUTTI
P.Lanfranco

P.Lanfranco con un’amica del lebbrosario 7 Gennaio 2001

Carissimi, speravo di inviarvi gli auguri per un Buon Natale, ma lo sciopero postale mi ha dissuaso. Ora sembra che la posta sia normalizzata, anche se poco efficiente, come al solito.

Auguri di Buon Anno… addirittura Nuovo Millennio. Gli auguri non vi arrivano in tempo, ma il ricordo nella preghiera, da parte mia e dei beneficati, sono saliti al Padre al tempo giusto. Ringrazio Dio e ringrazio voi per la vostra generosità.

Come sono utilizzate le offerte.

Penso che quello che inviate a mio nome sia speso bene.

Medicine per i poveretti che vengono morsi dai serpenti (anche lo scorso anno più di cinquecento quelli che sono stati salvati); aiuto per i lebbrosi, e soprattutto borse di studio per i giovani intelligenti e volonterosi.

Uno di loro ha compiuto il corso di medicina, e già fa pratica.Altri due sono al quarto anno di medicina, con risultati brillanti, una ragazza al secondo anno di fisioterapia professionale, tre ragazze hanno ottenuto il diploma di maestre, tredici ragazze al corso di infermiere, quattro di loro già diplomate.

Sette più quattro giovani stanno studiando per il diploma di tecnici al "Don Bosco" od al "St. Francis". I diplomati sono già stati assunti da compagnie od officine. John addirittura all’estero, e non è il solo. Altri per corsi di computer, di contabilità; altri per il diploma di radiografia o di laboratorio; altri per studi superiori, specialmente in scienze.

Volete conoscerli ?

Come ho scritto altre volte, chi volesse conoscere il nome dei beneficati, il corso che fanno, ed altri dettagli, ed anche avere una foto, sarei ben lieto di acconsentire.

Solo che alle volte l’efficienza postale interviene per censurare, e magari cestinare la corrispondenza.

Come inviare offerte.

Tengo a ripetere che il modo più sicuro è inviarle a: Segretariato Missioni Estere via Armando Diaz, 15, 59100 Prato C. C. P. 19395508, motivando per le opere caritative di Padre Lanfranco. A suo tempo mi perverrà tutto, fino all’ultima lira.

Le mie attività

Qualcuno le ha chiamate "invenzioni". In realtà si tratta di un po’ di senso pratico. L’altalena-pompa, di cui ho scritto nella mia precedente prima di tornare in Italia, è certamente apprezzata. Molti mi stanno scongiurando che ne costruisca una per loro. Io sto aspettando il brevetto ormai da quasi quattro anni. Chiunque l’abbia provata è rimasto entusiasta. Io sono il primo a beneficiare dell’esercizio fisico -terapeutico che l’altalena offre: 5 minuti ogni mattina, prima ancora dell’alba. E’ la mia palestra, mi mantiene in buona forma e buona linea.

Forse qualcuno è ancora interessato ad avere la videocassetta. La può avere scrivendo a: Sig. Renato Capparo – CineHollywood S.r.l. – via P.R. Giuliani, 8 – 20125 Milano – Tel. 02644151 - Fax 0266103899. Però debbo precisare che dovrà sostenere il costo della videocassetta e le spese postali.

Sono inoltre impegnato nell’assistenza ai nostri Cattolici, anche nelle missioni limitrofe. Talvolta in programmi ecumenici; in visita alle prigioni e al lebbrosario.

Corrispondenza ?

In fondo all’articolo il mio indirizzo postale. Forse alcuni di voi preferirebbero Internet o l’e-mail. Qui siamo indietro. Speriamo che un giorno ci capisca qualcosa anch’io.

Chi poi volesse sapere qualcosa a voce, provi a rintracciarmi al numero 0091/595/351293. Non è facile ottenere la linea, ma molti sono riusciti. Non dimenticate il fuso orario! In India siamo in avanti di quattro ore e trenta.

Il tempo più adatto sarebbe dopo la chiusura delle officine, dove lavoro con i nostri giovani. Quindi dalle ore 6.00 alle ore 9.30 pomeridiane; corrispondenti alle vostre 1,30 – 17 pomeridiane. Sarei felice di udire la vostra voce.

Il futuro ?

Nelle mani di Dio! Sono ancora abbastanza attivo e la salute regge bene, nonostante i miei 75 anni.

Ho motivo di ringraziare Dio, anziché lamentarmi per i piccoli dolorucci. C’è chi mi ha detto che 50 anni in India sono più che sufficienti per augurarmi il ritorno in patria e godermi un meritato riposo.

Non sta a me il decidere.

Per ora penso di essere più utile qui che in Italia.

Termino con un sincero ringraziamento e con i più sinceri auguri.q

P. Lanfranco
Missionario Cappuccino
ST. Joseph’ s Centre 4
Civil Lines- P. O. Box 31
Rampur- 244 901- INDIA