IL NUOVO POZZO DI KIBAIGWA
P. Virgilio Galantini

Kibaigwa - Le potenti macchine aspettano gli ordini del pendolino di P. VirgilioKibaigwa è un grosso villaggio in rapida espansione, situato sulla strada asfaltata che corre da Dar Es Salaam verso Dodoma, dalla vecchia alla nuova capitale della Tanzania.
Data la felice posizione e il suo rapido sviluppo, il vescovo di Dodoma Mons. Matthias Joseph Isuja, aveva pensato d’impiantarvi una nuova parrocchia, scorporando parte delle parrocchie confinanti di Mlali e di Kongwa, troppo vaste per un’adeguata ed efficace evangelizzazione.
Incaricato di portare avanti i lavori per la costruzione della chiesa e degli edifici indispensabili per il buon funzionamento della nuova parrocchia, casa parrocchiale, casa per le Suore, asilo infantile e dispensario medico, era P. Fabiano Cutini, che naturalmente avrebbe dovuto pensare anche a trovare i soldi necessari, ricorrendo ai suoi amici in Italia e ai benefattori delle nostre missioni.
E P. Fabiano, che a certe richieste era abituato da tempo, non si è tirato indietro, buttandosi a corpo morto nella nuova impresa.
Costruita la chiesa, grande se volete, ma non proprio bella, iniziata anche la costruzione della casa parrocchiale, si è trovato di fronte ad una difficoltà che, anche se non del tutto imprevista, cominciava a dargli dei grossi grattacapi: la mancanza d’acqua.
L’unico pozzo si trovava a più di 4 Km in linea d’aria e doveva servire a tutti gli abitanti del villaggio e al loro bestiame che non era poco, né poco assetato. Era quanto mai urgente scavare a tutti i costi un altro pozzo, possibilmente vicino alla chiesa.
Un povero frate cappuccino toscano, che si piccava e si picca di saper individuare sorgenti sotterranee, come rabdomante, passando da Kibaigwa, aveva segnalato a P. Fabiano un luogo, abbastanza vicino alla Chiesa, ove a suo parere, si sarebbe potuto trovare acqua potabile a sufficienza a tre diversi livelli: rispettivamente a 56, 90, e 138 metri di profondità.
Iniziati i lavori, la mattina del 27 novembre, dopo pochi metri, la trivella ha incocciato subito la roccia, una roccia dura che non vi dico.
A 56 metri ancora roccia imbevuta d’acqua, ma dura come le corna del diavolo. Giunti verso i 90 metri incontrando ancora roccia, il capo-cantiere Peter, per non rovinare la trivella, ha deciso di cambiare la punta. Tira su i tubi, cambia la punta, ricala i tubi nel foro... sono trascorse più di due ore.
Quando, poi nel ricalare i tubi sono stati raggiunti i 60 metri è successo l’incredibile. Dal foro scavato in precedenza è cominciata a fluire acqua in abbondanza.
La gente ha cominciato a gridare di gioia e a battere le mani; ma qualcuno un po’ più esperto, come il sottoscritto, ha cercato di smorzare l’entusiasmo, dicendo che poteva trattarsi soltanto di acqua calata, nel frattempo, dagli strati superiori.
Infatti raggiunto il livello di prima l’acqua ha cessato di fluire e, sollevando una nuvola di polvere, la trivella ha cominciato di nuovo a mordere la roccia.
Ormai il sole era calato dietro i monti lontani, sull’altipiano di Kongwa irrompeva la notte con una rapidità impressionante. La gente, stanca di aspettare, alla spicciolata, si stava ritirando nelle proprie capanne piuttosto delusa: ...tanto l’acqua quando non c’è non c’è e neanche gli Wazungu (gli Europei), con le loro diavolerie, la possono far venir sù. Anche gli operai africani erano stanchi e volevano interrompere il lavoro, ma spronati da P. Fabiano e allettati dalla promessa di una buona cena, hanno accettato di continuare alla luce dei fari che sciabolavano la notte coi loro fasci luminosi, in mezzo a sciami di zanzare e di altri insetti notturni.
All’intorno fasciato dal buio, tutto era silenzio, quel silenzio africano che sembra potersi toccare con mano. Si sentiva soltanto il ringhio della trivella che mordeva rabbiosamente la roccia. Così finché non si è esaurita la scorta dei tubi e anche P. Fabiano, suo malgrado, ha dovuto arrendersi, rimandando tutto al giorno dopo.
Erano ormai passate le 10 di sera. Mlali, la nostra missione più vicina, è a 40 minuti di macchina. Probabilmente i nostri confratelli stanchi di aspettare, erano andati a riposare e noi avevamo ancora da far cena. Nessuna meraviglia, così era accaduto tante altre volte. E’ la vita del missionario: si mangia e si dorme quando si può! Il giorno dopo era domenica e almeno in Africa, tra Cristiani non si lavora.
Il lunedì mattina era una splendida giornata, anche il sole, alto nel cielo senza nubi, sembrava di buon augurio. P. Fabiano stava celebrando la S. Messa per un piccolo gruppo di fedeli; forse stava facendo anche un "memento" speciale per quella benedetta acqua che non si decideva a venire, quando giunti ormai verso i 140 metri di profondità, un potente getto di acqua è schizzato improvvisamente dal tubo della trivella, disegnando un arco trionfale nel cielo, quasi volesse salutare il sole dopo tanta attesa nel buio della terra, oppresso dalla roccia sovrastante.
Maji, maji - ha gridato la folla entusiasta - l’acqua, l’acqua! - cominciando a ballare e a saltare, come solo gli Africani sanno fare. Avevano ragione di gioire: dopo tanta attesa e tanta arsura, avrebbero potuto finalmente levarsi la sete, bevendo acqua pura a volontà.
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UN COMPLEANNO DI CONDIVISIONE
Elena e Maurizio

Jukumarka - In piedi, al centro della foto, Maria Evelina con i suoi bambini

Che tristezza vedere un bambino che scarta un regalo e già volge lo sguardo altrove. Nessuno stupore, nessuna gioia, nessuna gratitudine. Di fronte a questa esperienza ci siamo chiesti: cosa fare perché i nostri bambini possano crescere sviluppando i sani sentimenti e perché questo spreco di regali possa essere evitato?
Dei genitori conosciuti poco tempo fa avevano trovato una bellissima soluzione a questo problema. Spesso andavano in campagna e con i loro bambini inventavano i giochi nella natura. Inoltre se qualcuno esprimeva il desiderio di voler fare un regalo ai loro bambini essi suggerivano di aiutare chi poteva trovarsi più nel bisogno e consegnavano loro un bollettino di versamento.
Così anche nella nostra famiglia abbiamo preso una decisione concreta. Per il primo compleanno di Elia, nostro secondo figlio, è lui che "prepara" gli inviti:
…desidero crescere imparando la generosità e la condivisione con i bambini che sono poveri ed hanno fame. Per favore non portarmi regali, oppure limitane la spesa per poter aiutare i bambini poveri della Bolivia tramite i nostri amici Missionari Cappuccini della Toscana a mezzo del bollettino allegato. Così saranno più persone a sorridere e ringraziare il Signore. Grazie di cuore". Avevamo scelto di dare un piccolo contributo al progetto di Maria Evelina
(vedi Eco delle Missioni marzo 2000 pag.11).
Nell’attesa del compleanno, nella preghiera prima dei pasti, si incomincia a ricordare questi bambini in modo speciale.
I nostri parenti e amici accolgono con amore il nostro desiderio. Così alla festa si presentano con qualche piccolo segno d’affetto, un piccolo giocattolo, un uovo pasquale, una maglietta. Quando arriva la madrina di Elia portando del vino di casa, una scatola di uova fresche e un mazzo di narcisi dell’orto sentiamo tutto il sapore delle feste di una volta.
Le pizze e i dolci della festa vengano preparati in casa sotto gli occhi e con l’aiuto dei bambini accogliendo anche gli aiuti dei parenti.
Alcuni invitati si fermano davanti ad una foto: ma sì, sono i bambini di Jukumarka, i bambini di Maria Evelina che ci ringraziano e ci augurano una santa Pasqua.
Il lunedì seguente ci rechiamo alla Posta con i bambini. Portiamo le offerte di coloro che hanno lasciato le buste a noi. Lungo la strada spieghiamo ancora ai nostri figli il senso della nostra scelta. Daniele, il nostro primo figlio, ne dà la conferma: «Così i bambini saranno un poco… contentissimi!».
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QUANDO SONO ANDATA IN PENSIONE...
Dott.ssa Anna Maria Bartolomei

Kibakwe - La dott.ssa Anna Maria ... ho fatto una scelta un po’ avventurosa per una donna non più giovane: avrei cercato di realizzare il sogno che mi aveva portato a studiare medicina: fare il medico e rendermi utile nelle missioni. L’Africa era nel mio immaginario anche se ero stata in alcuni stati dei Nord come turista.
Ho deciso di partire quando, un giorno del luglio del ’97, mi ha telefonato e poi è venuto a casa mia ad Anghiari, Padre Angelo insieme a Padre Virgilio. Mi hanno parlato di un Centro per bambini handicappati e un dispensario in Tanzania nella zona di Dodoma. Cercavano un medico, meglio se pediatra.
Mi invitavano ad andare laggiù e rendermi conto personalmente della vita e del lavoro che c’era da fare. Ci mettemmo d’accordo per ottobre. Nel frattempo morì Padre Angelo e la partenza fu rimandata.
A metà gennaio del ’98 sono partita per la Tanzania. Ho fatto il viaggio con Padre Mario che tornava a Dar Es Salaam dopo un periodo di riposo e cure in Italia. Da allora ho fatto altri due periodi sempre di due mesi, quindi tre periodi abbastanza lunghi. Non sono capace di stare lontano dai miei, dalla mia casa per tempi più lunghi, anche se, quando si avvicina la partenza, vorrei rimandarla, i giorni volano e appena tornata in Italia ho il desiderio di ripartire e ascolto con interesse e nostalgia le notizie che arrivano dall’Africa.
Sono stata in tutte le Missioni dei Cappuccini Toscani nella regione di Dodoma, ma soprattutto a Mlali e Kibakwe. È una zona molto vasta e le varie Missioni sono distanti tra loro molti chilometri, le strade sono disastrose anche nei periodi di siccità; sono strade sterrate con buche, dossi ecc. che si percorrono solo con robusti fuoristrada. Le Missioni sono prossime a villaggi ma lontane da centri più grandi come Kongwa o Mpwapwa, città, ma al di fuori di ogni immaginazione occidentale.
La popolazione dei villaggi vive di agricoltura e allevamento di bestiame. I raccolti dipendono dal tempo e dalle piogge. In genere coltivano mais, noccioline, girasole, fagioli. Per la coltivazione sono ancora molto arretrati, una zappa è sufficiente anche se mettono le piante ben in fila.
Nei villaggi prossimi alle Missioni c’è l’acqua (1-2 cannelle o fonti lungo la strada) ma ci sono villaggi che ne sono sprovvisti e giornalmente bisogna fare numerosi chilometri per procurarsela.
Dal punto di vista sanitario, dal governo vengono fatte le vaccinazioni: difterite, tetano, poliomielite, morbillo; le gravidanze in teoria sono seguite, ma si partorisce spesso nelle capanne. Per partorire al dispensario governativo, è necessario portare un paio di guanti e l’occorrente per il parto.
Le malattie più frequenti sono la malaria, soprattutto nel periodo delle piogge e subito dopo le gastroenteriti da salmonelle o colera, parassitosi intestinali, scabbia, molte infezioni della pelle da piogeni, ascessi, pellagra - Herpes Zooster - HIV, ma anche ustioni, ferite da taglio, da morsi di animali e umani, ecc.
Questo è quello che più mi ha colpito nel frequentare i dispensari sia di Mlali che di Kibakwe. Le medicine in genere sono sufficienti ma scarseggiano bende, cerotti, soprattutto materiali sterili monouso. I laboratori sono attrezzati per il riconoscimento della malaria, l’emoglobina (quindi un indice dell’anemia che in caso di malaria può essere gravissima), l’esame delle urine con stick, l’esame parassitologico delle feci, il test per l’HIV, oltre alla glicemia, azotemia e VES. Rispetto a noi pochissimo, ma è già molto dato che non sempre questi esami elementari possono essere eseguiti. Nei dispensari non sempre c’è il medico anche se ora il governo dà indicazioni in tal senso; a Kibakwe ci sono solo le suore italiane, infermiere professionali e fanno tantissimo.
Mlali-Kituo - Manueli con AgnesiIl centro di Mlali per bambini con handicap motorio accoglie circa 40 bambini da 3 a 14 anni. C’è poi una struttura che accoglie le madri o i bambini più piccoli che fanno terapie riabilitative in day-hospital.
Gli esiti della polio si vedono solo sopra i 16 anni. Molti bambini hanno cerebropatie spastiche, esiti di danno neonatale o di malaria cerebrale, altri malformazioni congenite come i piedi torti. C’è una palestra ben attrezzata per la fisioterapia, inoltre vengono forniti vari ausili al fine di dare una certa autonomia motoria.
Alcuni bambini sono operati nei centri ospedalieri tanzaniani e poi riportati al Centro. Quello che viene fatto in tutte queste Missioni è straordinario, con una semplicità e umanità si affrontano anche le situazioni più critiche. Quante volte ho visto caricare sul fuoristrada dei Padri un malato. Ho visto anche portare al dispensario per una visita un vecchio su un carretto tirato dai figli. Giungono malati anche da molto lontano, 30-40 chilometri, in genere percorsi a piedi e quando arrivano sfiniti, il primo soccorso è acqua con lo zucchero fornito dalle suore.Tutti sono molto riconoscenti per quello che si può fare.
Finisco con un triste ricordo. Manueli un bambino del centro di Mlali con una paralisi agli arti inferiori da malaria, una sera che tornavo da Kibakwe e andai a salutare i bambini ricoverati, mi prese per i pantaloni e mi fece capire che lo dovevo guardare. Mi voleva dimostrare i suoi progressi, e come riusciva a mettersi in piedi da solo.
Ho chiesto di lui quando sono tornata a Mlali: è morto di malaria al suo ritorno al villaggio.
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RICORDI E RIFLESSIONI DI UN INNAMORATO DELL'AFRICA

Siena - P. Santino Doratiotto parla ad un convegno MissionarioTante volte sono partito per l’Africa, precisamente per la Tanzania e mi sono accorto che la Tanzania è una nazione che strega: la natura pare primitiva, selvaggia; la gente è mite. Fra questa gente mite e la natura che profuma di buono ho incontrato tanti missionari appartenenti a varie congregazioni religiose fra questi i Cappuccini Toscani, che non solo stanno in Tanzania, ma che ormai fanno parte di questa realtà, tanto si sono inseriti con la gente del luogo. Ho conosciuto molti di loro, alcuni in modo più approfondito, altri un po’ meno ma tutti sono presenti nei miei ricordi e nei miei pensieri: alcuni continuano a lavorare sul posto, altri hanno cambiato luogo, altri sono tornati in Italia e altri non ci sono più.
Vorrei incontrarli ancora tutti, parlare con loro, ricordare le persone conosciute e i luoghi visitati: Mbuga, Kibakwe, Mlali, Lumuma, Kongwa, Kinusi, Rudi, Mpwapwa, Dar Es Salaam, rivivere quelle ore, quei giorni indimenticabili e riassaporare la pace e la gioia che laggiù ho gustato. Sarà mai possibile?
Per ora rivedo la strada di Mbuga: erta, pericolosa, a volte impraticabile, la missione bella, lontana come un santuario che domina e attira. Kibakwe: la madre delle missioni se si considera Mpwapwa la culla, il cimitero dove riposano i frati che troppo presto sono andati in cielo. Mlali: con la terra rossa, le grida dei bambini del Kituo, l’operosità della gente. Lumuma: che le suore fanno pulsare di spiritualità e i campi odorano di cipolle. Kongwa: dove il vento in continuazione fa sollevare la polvere rossa che entra ovunque. Kinusi: con l’arguto campanile.
Rudi: francescana, arida.
Mpwapwa: ormai sulla strada per essere parrocchia di città. Dar Es Salaam dove l’amore e il lavoro degli italiani ci hanno fatto vedere l’attaccamento alla Chiesa.
Quanti ricordi... quante realtà tuttora vive e tangibili nel ripensare a queste missioni. Voi missionari mi avete aiutato, insegnato molto con il vostro esserci.
Egidio, la tua bontà; Pietrino, la tua resistenza; Mario, il tuo equilibrio; Francesco, la tua donazione; Leonardo, il tuo sapere; Fabiano, il tuo attivismo; Carlo, la tua semplicità, Silverio, il tuo entusiasmo; Vincenzo, la tua pacatezza; Enrico, la tua precisione; Giorgio, il tuo servizio; Stanislao, la tua bonarietà; Silvano, la tua voglia di fare. Per tutto questo vi ringrazio.
Voi missionari che in questi ultimi anni ci avete lasciato ora non siete solo nei miei ricordi ma soprattutto nelle mie preghiere.
Dodoma - P. Franco BadianiFranco eri ancora giovane, però i tuoi quarantott’anni non ti hanno impedito di lasciare la tua impronta e il tuo messaggio d’amore alle persone che hai incontrato e soprattutto alle suore di santa Gemma. Pur minato nella salute non ti sei risparmiato per illuminare materialmente e spiritualmente suore, cristiani e non cristiani. Sei stato capito? Non sei stato capito? Forse non posso rispondere, però con certezza voglio dire che tu avevi capito la gente ed è per questo che anche oggi tutti ti ricordano e in fondo al cuore sentono ancora bisogno di te.
Santino, una morte stupida ti ha rubato a quel maledetto semaforo non rispettato dal camion che ti ha travolto, ma quello che avevi dato alla gente e ai frati in formazione è ancora vivo. Scherzosamente ti chiamavano Costantino il Grande per le varie chiese che avevi costruito, ma sei stato altrettanto Grande nel formare i frati tanzaniani che pian piano prendono il tuo, vostro posto.
Tommaso, Nonno per tutti e non solo per l’abitudine toscana di appioppare soprannomi a tutti, ma per la tua età, il tuo fare. Hai lasciato l’America per accompagnare in un nuovo cammino i frati toscani che cominciavano a muovere i primi passi in Tanzania. Nonno per le suorine di Lumuma, per i bambini e per tutti perché si sentivano da te protetti ed amati.
Mlali-Kituo - P.Angelo fondatore del Centro per bambini motolesiAngiolo, ti avevano paragonato a Hamingwey per il tuo viso cotto dal sole, i tuoi occhi chiari e le profonde rughe. Frate a nove anni, missionario per una vita: India, Australia, Etiopia e Tanzania. Ti hanno definito - accusato di essere un imprenditore, certo hai costruito molto ma i bambini dell’Etiopia e del Tanzania ti ricorderanno come ricostruttore delle loro gambe rovinate dalla polio o da altre malattie. Veramente un angelo bianco in mezzo a bimbi neri. Un giorno mi dicesti che spesso pensavi alla morte ma che non ti faceva paura, eri certo della promessa che Gesù fece agli operatori di misericordia ...se darete una goccia di acqua... e tu ne hai dati tanti di bicchieri di acqua.
Missionari vi ringrazio tutti! Pensando a voi non posso far a meno di elevare una preghiera al Signore che sia sempre vicino a voi e vi sostenga in questa Grande Missione e anche voi nelle vostre SS. Messe ricordatevi di me e di noi. Partirò ancora tante volte per l’Africa, per la Tanzania, vi incontrerò ancora miei missionari, vi rivedrò ancora care missioni e continuerò ad amarvi mitica gente della Tanzania.
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