Mons. Luca BonariLa dimensione missionaria di ogni vocazione

Prato 9 Novembre 2008: Incontro di informazione e formazione alla Missione

Relazione di Mons. Luca Bonari
attualmente Proposto della Parrocchia di Asciano, nella diocesi di Siena


1. Accendere il fuoco della missione...

Dalla lettera del Consiglio episcopale permanente alle comunità cristiane per un rinnovato impegno missionario “l’amore di Cristo ci sospinge”, I - Accendere il fuoco della missione: “sono venuto a portare il fuoco sulla terra (Lc 12, 49)”
1. Questo miracolo avviene anzitutto quando, per l’ispirazione dello Spirito Santo, noi diciamo: «Gesù è Signore» (1 Cor 12,3). La coscienza missionaria nasce e si forma nell’incontro con Cristo. Ne deriva che ogni debolezza cristologica indebolisce la radice stessa della missione. Forse sta proprio qui la ragione di certe nostre esitazioni. Accanto a una forte ricerca teologica, per altro già in atto, lo slancio missionario richiede una forte spiritualità di cui, forse, siamo ancora carenti.
Senza dubbio la vivacità missionaria delle prime comunità cristiane - di cui parla il libro degli Atti degli Apostoli - nasceva dall’esperienza di un personale incontro con Cristo. L’urgenza della missione nasce dall’interno, e la stessa convinzione che Cristo è atteso da ogni uomo è colta a partire dalla propria esperienza di incontro con lui. È questa la risposta al “perché” della missione. La riflessione teologica chiarisce e rende rigorosa questa spinta interiore, ma non basterebbe in nessun modo da sola a suscitarla. Indugiare troppo sul “perché” della missione può essere un segno della debolezza della nostra fede.
Non si abbia paura di questa forte accentuazione della centralità di Cristo. Essa non mortifica il dialogo con le altre religioni, né impedisce di riconoscere verità che in esse sono presenti. Al contrario, più l’incontro con Cristo è profondo, chiaro, irrinunciabile, più il cristiano sa vedere i segni della sua attesa nel mondo, le tracce della sua presenza e della sua azione, i punti dell’incontro.
Il fuoco della missione si accende quando lo Spirito Santo trasforma i nostri cuori. È lo Spirito il protagonista della missione. Egli la suscita e la guida. Il fuoco della missione si accende quando lo Spirito ci trascina fuori da Gerusalemme, fino ai confini del mondo (cf. At 1,8). Lo Spirito opera due miracoli assolutamente necessari per la missione: trasforma il discepolo in missionario (l’azione dello Spirito è sempre dal chiuso all’aperto, dal particolare all’universale) e attualizza l’evento storico di Gesù (accaduto in un tempo e in un luogo), rendendolo disponibile per ogni tempo e ogni luogo.
Se l’incontro con il Signore Gesù Cristo è decisivo perché la missionarietà attecchisca nel cuore di ciascuno di noi e nelle nostre comunità, questo è perché in lui si manifestano l’amore e la misericordia come tratto essenziale del volto di Dio, vero e autentico Padre. È l’essere rivelatore del Padre che fa di Gesù il luogo più luminoso in cui scorgere la figura evangelica della missione. Egli ha rivelato il Padre facendo missione, mostrando cioè - con la sua incondizionata accoglienza, libera da qualsiasi volontà di discriminazione - che di quell’unico Padre tutti gli uomini sono chiamati a riconoscersi figli.
È di questo amore universale che ogni comunità cristiana deve farsi testimone. Gesù si è circondato di discepoli - la sua vera famiglia! -, ai quali ha dato tempo e cure, ma la sua preoccupazione non ha mai cessato di essere sempre per tutti. Egli ha pensato al gruppo dei discepoli in funzione della missione. I vangeli documentano che Gesù portava con sé i discepoli nella sua missione itinerante. Insieme con lui i discepoli erano costantemente davanti alla folla.
Nel vangelo di Marco si legge che «ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare» (3,14-15). Lo stare e l’essere inviati sono fra loro saldamente congiunti, in un rapporto che si potrebbe dire circolare. È stando con Gesù che si comprende l’urgenza e la natura dell’andare: perché andare, dove andare, per quale annuncio. Ma è andando che si sta veramente in compagnia di Gesù: egli infatti è sempre in movimento, itinerante, senza fissa dimora: «Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20).

2. Un incontro da cui ripartire
Il Papa ce lo aveva detto tante volte: ripartire da Cristo! Vi confesso che ho durato fatica a far mio questo appello ed ora vorrei condividere con voi un punto che considero strategico nel futuro della pastorale e della coscienza missionaria delle nostre comunità e di tutti noi. In questa settimana ho affrontato questo argomento con le Monache clarisse della mia diocesi alle quali ho predicato un corso di esercizi spirituali dal tema “con Paolo e come Paolo, ripartire da Cristo” con sorprendente interesse e accoglienza da parte di tutte. Ci siamo resi tutti conto di quanto cammino ci sia da fare in questa direzione.
Concretamente: proveniamo tutti da un lontano passato in cui l’incontro con Gesù è avvenuto per il tramite della Chiesa….
Ora è tempo che lo stare nella Chiesa, il condividere la sua vocazione e la sua missione riparta da Gesù: ovvero è tempo di ridare alla relazione con la Chiesa un rilievo secondo perché è la relazione con Gesù che deve emergere con forza come relazione prima. È infatti con Lui e a partire da Lui che dobbiamo ridisegnare ogni relazione: con noi stessi, con le nostre comunità, con la comunità ecclesiale, con l’azione pastorale della Chiesa nel mondo… Ci accorgeremo facilmente quanto ha da guadagnarci la Chiesa e quanto abbiamo da guadagnarci ciascuno di noi… In questo contesto prende corpo il tema della mia relazione. Parleremo di vocazione e della dimensione missionaria di ogni vocazione. Incominciamo con il fare chiarezza sul termine vocazione.

3. Ogni vocazione nasce da un amore, racconta un amore e domanda amore
Benedetto sia Dio - esclama San Paolo, scrivendo alla comunità cristiana di Efeso(1,3-6) - Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà.
Scelti e chiamati all’amore! All’amore si risponde con l’amore. Solo così se ne può gustare tutta la bellezza e l’efficacia.
E non è un amore qualsiasi. Non avremmo mai immaginato che cosa significa dare alla nostra esperienza umana il volto dell’amore se colui che è Amore da sempre non avesse assunto un volto umano e, dopo averlo assunto, non avesse vissuto l’amore come l’unica stella polare del suo cammino. Ancora San Paolo, questa volta scrivendo alla comunità cristiana di Filippi (2,6ss) , ci suggerisce di avere in noi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù il quale, pur essendo di natura divina…spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente sin o alla morte e alla morte di croce.
Gesù è il volto dell’amore secondo il cuore di Dio. Nessuno ha potuto e saputo vivere come lui la vocazione all’amore vivendola da uomo. Ed abbiamo visto che cosa significa fare dell’amore la ragione della nostra vita e porre l’amore come timone della nave della nostra esistenza. Significa immaginarsi servi dell’amore e andare là dove l’amore ci porta senza alcuna paura. L’amore è la principale virtù: sostiene la fede, incoraggia la speranza. L’amore resterà per sempre e sempre alla fine sarà vittorioso.
La vocazione all’amore ci orienta così a pensare che la nostra stessa vita è un dono. Se la vocazione è un dono, in realtà proprio facendo della nostra vita un dono noi diveniamo vocazione per gli altri. Siamo infatti tutti responsabili della vocazione dei fratelli e delle sorelle. Siamo noi - facendoci dono - che andiamo a raccontare a tutti questa splendida buona notizia che fa della vita di ogni persona umana una vita che ha un senso in ogni occasione e situazione.
Rispondendo alla vocazione all’amore ci prendiamo così cura della vocazione dei fratelli e delle sorelle. E se non lo facciamo il Signore ci chiede - come fece con Caino che aveva appena ucciso Abele: “dov’è tuo fratello?”.
La missione - come si vede - sgorga dalla vocazione e ne costituisce il naturale orizzonte. La gioia è piena se possiamo condividerla, comunicarla…

4. Nella duplice fedeltà: a Dio e all’uomo del nostro tempo
Si affermava al n. 1 del documento preparatorio del convegno ecclesiale di Verona:
Domande acute sorgono dai mutati scenari sociali e culturali in Italia, in Europa e nel mondo, e ancor più dalle profonde trasformazioni riguardanti la condizione e la realtà stessa dell’uomo. Nel tramonto di un’epoca segnata da forti conflittualità ideologiche, emerge un quadro culturale e antropologico inedito, segnato da forti ambivalenze e da un’esperienza frammentata e dispersa. Nulla appare veramente stabile, solido, definitivo. Privi di radici, rischiamo di smarrire anche il futuro. Il dominante “sentimento di fluidità” è causa di disorientamento, incertezza, stanchezza e talvolta persino di smarrimento e disperazione.
In questo contesto i cristiani, «stranieri e pellegrini» nel tempo (1Pt 2,11), sanno di poter essere rigenerati continuamente dalla speranza, perché le tristezze e le angosce del tempo sono «gettate» nelle mani del «Dio di ogni grazia» (1Pt 5,7.10). Essi accolgono pertanto con gioia l’invito evangelico, rinnovato dalla lettera apostolica Novo millennio ineunte, a “prendere il largo” (cfr Lc 5,4).
In questo prendere il largo mi sembra opportuno utilizzare una prima bussola. Ci sono - evidenti - alcune sintonie che ci orientano ed alcune domande che ci interpellano sia sul versante socio culturale che sul versante ecclesiale. Da esse non può prescindere la prospettiva di un nuovo e vigoroso impegno missionario.

5. Le sintonie
Mi ha favorevolmente sorpreso Benedetto XVI quando inizia la sua Deus Caritas est ponendosi una domanda. Dice il papa:
Il termine “amore” è oggi diventato una delle parole più usate ed anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti…Ricordiamo in primo luogo il vasto campo semantico della parola “amore”: si parla di amor di patria, di amore per la professione, di amore tra amici, di amore per il lavoro, di amore tra genitori e figli, tra fratelli e familiari, dell’amore per il prossimo e dell’amore per Dio. In tutta questa molteplicità di significati, però, l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono. Sorge allora la domanda: tutte queste forme di amore alla fine si unificano e l’amore, pur in tutta la diversità delle sue manifestazioni, in ultima istanza è uno solo, o invece utilizziamo una medesima parola per indicare realtà totalmente diverse?
Poi egli inizia quella splendida analisi semantica, storica e biblica che a noi ora non interessa. Interessa invece il grido del cuore che sale irresistibile dall’umanità di sempre: amore! Posso garantirvi che la pastorale ordinaria è lì a rimandarci di continuo messaggi del genere (basti pensare all’esperienza che si rinnova ogni volta in occasione di un funerale, dove tutti fanno a gara nel voler ricordare i gesti di amore compiuti dal caro defunto…; un matrimonio, dove neanche lontanamente gli sposi si pongono il problema che l’amore che li unisce potrebbe finire…; un battesimo, dove babbo e mamma fanno a gara nel riconoscere una vocazione del figlio diversa e oltre la loro…; l’esperienza dell’adolescente che non ha alcuna paura nel gettarsi fra le braccia dell’amore come la cosa più bella e stimolante che possa accadergli nella vita…).

6. Il dramma di un amore solitario
Ma è quella dell’amore umano un’esperienza che inesorabilmente manifesta una incompiutezza che si rivela come un vero e proprio dramma esistenziale. Dice alla persona che non può vivere senza amore ma non gli dona naturalmente le coordinate per dare volto a quell’amore che è sorgente di vera autentica gioia. La persona umana scopre ben presto che non è abbastanza il modo solo umano di rispondere a questo drammatico bisogno d’amore. Dice il limite dell’eros sottratto e scardinato dall’agape. Ancora il Papa in DCE:
5. Due cose emergono chiaramente da questo rapido sguardo alla concezione dell’eros nella storia e nel presente. Innanzitutto che tra l’amore e il Divino esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità — una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. Ma al contempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall’istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non è rifiuto dell’eros, non è il suo « avvelenamento », ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza.
Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell’essere umano, che è composto di corpo e di anima. L’uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell’eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d’altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza. Ma non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l’uomo diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l’amore — l’eros — può maturare fino alla sua vera grandezza…
Sì, l’eros vuole sollevarci «in estasi» verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni.
Ci sentiamo inteneriti di fronte a quest’uomo perché nel DNA della nostra esperienza credente troviamo proprio la buona notizia che risponde a queste domande: la buona notizia è Gesù: luce, vita, via, verità, sorgente, dimora dell’amore, per usare soltanto alcune delle definizioni che egli ha usato per presentare sé stesso come risposta di vita alle domande dell’uomo. Come?

7. Consegnato all’amore perché l’amore lo ridonasse alla vita
Cristo, mia speranza è risorto, fa dire la sequenza pasquale ad una stupita, confusa ed esultante Maria di Magdala. La resurrezione di Gesù, ragione della nostra speranza. Ma di quale speranza? Di quella che ci accompagna ogni volta nei giorni pieni di trepidazione del triduo pasquale perché Gesù aveva consegnato alla sua resurrezione la credibilità di quanto aveva detto e specialmente fatto con una vita consacrata all’amore.
Riuscirà davvero - ci chiediamo ogni volta vedendolo appeso alla croce - che l’amore sconfiggerà la morte?
L’essersi abbandonato, pieno di speranza, nelle mani del Padre permetterà a Gesù di sperimentare una vittoria così travolgente come quella della Resurrezione. Lo dice lui stesso in un momento drammatico del suo dialogo con la sua gente: Disse allora Gesù: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite”. A queste sue parole, molti credettero in lui (Gv 8,28-32)
Non ha ceduto alla tentazione di fare da solo nella sua vita - pur essendo il creatore del mondo - ed ha fatto invece della sua umanità un dono all’Amore e agli amati - in una struggente relazione sponsale - fino alla fine.
Ecco la risposta a questa domanda di vita e di amore che sale struggente dal cuore degli uomini, di ogni uomo! E tutti abbiamo bisogno di lui, di essere con lui, con lui morire per poter risorgere di continuo allo stupore della riuscita quando ci doniamo all’Amore e agli amati.
È Cristo la sorgente interiore che consente a ciascuno di noi di rispondere in modo radicale alle sfide alle quali è sottoposta di continuo la vocazione all’amore alla quale tutti siamo chiamati.
La Resurrezione di Gesù dice di non aver paura ad accogliere tale chiamata all’amore secondo il cuore di Dio vivendo una vita responsoriale come l’ha vissuta Gesù: perché è ciò che rende pienamente uomini! Dice insomma a ciascuno di noi di non temere ad immaginare una vita dove lo spendersi in un amore unico, fedele, indissolubile - sia nel matrimonio che nella vita consacrata - sia l’unica ragione della vita: è ciò di cui abbiamo bisogno per essere - come ci dice il nostro cuore quando ci innamoriamo davvero - completamente appagati e veramente felici! La nostra vocazione non è tanto possedere l’amore ma lasciarci conquistare dall’amore. Senza sapere dove l’amore ci porterà. Osservando attentamente Gesù nel mistero pasquale non è difficile vedere come egli abbia in realtà interpretato il sogno di ogni uomo. E non è difficile osservare che proprio in quel “non mi ha lasciato solo” c’è la ragione profonda della riuscita! Non bisogna restare soli se vogliamo vivere d’amore! E tale solitudine non può essere riempita da niente e da nessuno se non dalla relazione con Dio che ci ha fatti per sé… Il nostro cuore sarà sempre inquieto - ci ricorda S. Agostino - finché non si riposa in lui.
Se superiamo la paura di seguirlo, se sapremo restare in lui e per il suo tramite nella relazione trinitaria, il sogno di ogni uomo prenderà ancora una volta carne in ciascuno di noi.
Il Concilio Vaticano II ha in qualche modo fissato questa splendida verità quando afferma, nella Gaudium et Spes al n. 22: In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.

8. Ogni uomo è destinatario e attende questo annuncio, questo invito, questa chiamata: nella diversità delle risposte!
Nessuno può vivere senza questo dono. Sarebbe destinato a navigare senza vedere le coste, senza vedere un faro, senza avere una rotta. La vita si sfascerebbe negli scogli o si arenerebbe nelle secche. Gli appuntamenti che la vita porta con sé e interpellano resterebbero senza risposta e getterebbero nell’angoscia.
Ogni persona che viene alla vita ha bisogno di sapienza che viene dall’alto, che conquista nel profondo del cuore, che rende capaci di ragionare secondo il cuore di Dio, perché questa vita terrena non si trasformi in una condanna a morte ma divenga: un pellegrinaggio di vita e verso la vita, di luce e verso la luce, di gioia e verso la gioia…
La vocazione all’amore. Sì ma quale? Se c’è una chiamata all’amore che ci riguarda tutti, siamo tutti chiamati a viverla nella stessa maniera e in maniera univoca? E allora come si spiega la differenza evidente che c’è tra l’essere donne e essere uomini nel modo così diverso di vivere l’amore? E perché è così diverso in un bambino, in un adolescente, in una babbo, in un nonno?… Non si nota forse anche soltanto dal punto di vista umano che c’è un infinità di modi diversi di realizzare la vocazione all’amore?
Sì, è proprio così: una sola vocazione ma tanti modi per realizzarla. Ci aiuta ancora San Paolo il quale nella prima lettera scritta ai cristiani di Corinto (12,4ss) afferma: Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune…tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole. Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra…Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte… Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte.
La vocazione all’amore si realizza in pienezza in modalità diverse alle quali noi diamo appunto il nome di vocazioni. Anche Gesù ha ricordato a tutti la vocazione all’amore come condizione della persona umana ma ha chiamato alcuni a seguirlo nella scelta di vita che egli aveva operato per sé: la vocazione all’amore vissuta nella via verginale non è stato un impedimento all’esperienza sponsale e feconda di Gesù. Tutt’altro! E non lo sarà neanche per coloro che, nella vocazione al celibato del ministero ordinato o alla professione dei consigli evangelici nella consacrazione, sono destinati a realizzare pienamente l’amore.
La scoperta di questa vocazione personale è importantissima: è dono prezioso che permette ad una persona non solo di sapere chi è ma come diventare quello che è. È la rotta della vita per giungere al porto della felicità eterna del Paradiso.
Mi sembra molto bello in proposito quanto ci diceva il Santo Padre in occasione del Congresso Europeo per le Vocazioni del 1997. Ascoltiamolo insieme: La vita ha una struttura essenzialmente vocazionale. Il progetto che la riguarda, infatti, affonda le radici nel cuore del mistero di Dio: «in Lui - in Cristo - Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (Ef 1,4). Tutta l’esistenza umana, pertanto è risposta a Dio, che fa sentire il suo amore soprattutto in alcuni appuntamenti: la chiamata alla vita; l’ingresso nella comunione di grazia della sua Chiesa; l’invito a rendere nella Comunità ecclesiale la propria testimonianza a Cristo secondo un progetto del tutto personale e irrepetibile; la convocazione alla comunione definitiva con lui nell’ora della morte. Non v’è dubbio pertanto che l’impegno della Comunità ecclesiale nella pastorale vocazionale sia uno dei più gravi e urgenti. Ogni battezzato, infatti, deve essere aiutato a scoprire la chiamata che, nel progetto di Dio, gli è rivolta e a rendervisi disponibile. Sarà così più facile, a chi è destinatario di una vocazione particolare a servizio del Regno, riconoscerne il valore ed accettarla generosamente. Non si tratta infatti di educare le persone a fare qualcosa, bensì a dare un orientamento radicale alla propria esistenza ed a compiere scelte che decidono per sempre del proprio futuro (Giovanni Paolo II , Messaggio al Congresso Europeo, 29 Aprile 1997, n. 2).
In questo contesto, la vocazione che raggiunge il cuore di una persona e la orienta a fare della sua vita un dono - a tempo pieno e con cuore indiviso - perché questo annuncio di gioia e di vita raggiunga il cuore di ogni persona umana che nasce alla vita, è affascinante e sarà sempre necessaria.
Esprime infatti ed interpreta la maternità della Chiesa proprio in quell’anelito divino che la spinge a rintracciare per le vie del mondo tutti i suoi figli. I più lontani sono i più vicini al cuore del Signore: la Chiesa lo sa, lo sente nelle sue profondità e chiede ad alcuni di noi di farci interpreti in modo speciale ed esclusivo di questa passione missionaria “alle genti”.
Ma anche queste vocazioni nascono, crescono e maturano all’interno di un modo “normale” di sentirci missionari. E ciò che definisce tale normalità è sentirci destinatari di un dono così grande da non poter tacere. Una comunità cristiana che nasce da questa passione e che coltiva questa passione è il terreno per una fecondità vocazionale piena anche in riferimento alle vocazioni missionarie di coloro che “partono”.

9. Quali i contenuti della missione perché essa sia annuncio e memoria di questa vocazione?
la relatività del tempo presente (a Diogneto)
l’amore come presupposto di ogni storia: secondo il cuore di Dio (non c’è uomo che non ci creda…)
la commensalità come principio di condivisione e di solidarietà (cum-pane)
l’aiuto fraterno in questo essere pellegrini non è un optional perché su di esso alla sera della vita io sarò giudicato (sarete beati se…)