Padre
Giovanni ci ha parlato dell’Africa come non eravamo abituati a
sentirne parlare: vi ha messo tutta la conoscen-za e l’amore dei
Comboniani e la sua personale esperienza. Ne emerge un quadro che, se
non sorprende nell’elenco dei “mali dell’Africa”,
fa riflettere nell’analisi della cause e dei rimedi possibili.
La tesi di Padre Vedovato è che la grande ricchezza del sottosuolo
africano stimola gli insaziabili appetiti delle multinazionali americane
ed europee, le quali – a loro volta – sanno bene come “comprarsi”
la benevolenza dei dittatori militari di turno dei vari staterelli,
il tutto sulla pelle delle popolazioni, che non solo non traggono alcun
beneficio dallo sfruttamento delle loro risorse, ma sono anche vittime
delle lotte tribali, rese ancor più sanguinose dalle nuove armi
che i militari possono così procurarsi.
D’altra parte il riscatto dell’Africa può venire
solo dagli africani, che hanno soprattutto bisogno di crescere cultu-ralmente
e di essere aiutati in questo senso. Ecco come - secondo il nostro relatore
- possiamo davvero essere utili a questi nostri fratelli: promuovendo
la loro istruzione a tutti i livelli, in modo che possano prendere in
mano il loro de-stino e, politicamente, fare pressioni sui nostri governi
perché - nelle sedi internazionali - si cerchi di rompere questo
circolo vizioso fatto di insani appetiti, corruzione, ampliamento degli
arsenali e conflitti tribali.
Di seguito, ampi stralci della relazione.
L'Africa è un continente in piena espansione
alle porte di casa nostra, è sempre oggetto di molto interesse;
per i turisti del Nord, per i cercatori d’oro, di diamanti, di
petrolio, d'uranio e di metalli preziosi speciali e per gli specialisti
della biodiversità. Credo sia il continente più ricco
del pianeta: per i proseliti delle religioni universalistiche, delle
sette, così come che per i cacciatori di cervelli scientifici.
Lo è per la Banca mondiale, per il Fondo mondiale e umanitario,
per l’Onu e per i laboratori di farmacopea. Allo stesso tempo
si considera l'Africa come una cosa a parte, un vagone di un treno dimenticato
sul binario morto della storia. C'è una vera industria di discorsi
sull'Africa: gli specialisti europei e americani di questo continente
malato e inchiodato al letto, sono infiniti e non fanno che borbottare
fra di loro, ben lontani però dal giaciglio del morente. Un proverbio
africano dice: quando un cavallo ha troppi palafrenieri rischia di morire
di fame, soprattutto quando non si tratta neppure di veri palafrenieri!
Tant’è che sono diversi coloro che sono interessati alla
stessa carne del cavallo. Grazie alla televisione, il mondo intero può
assistere in diretta all'agonia di questo continente, ma sono solo episodi,
poi cala il silenzio; tutti tacciono, perché hanno scoperto il
mare più favoloso che ci sia: il petrolio, che corrisponde anche
alle nostre esigenze e tutti vi si sono tuffati, come un branco di belve
affamate. Tutti addosso a questo povero popolo.
Ma questo calvario è diventato così quotidiano che divengono
banali anche i problemi africani. Sono considerati soltanto dati, statistiche.
Ci domandiamo: ma il male africano sarà ciclico come il calore
del sole? In piena notte africana nessuno sa, nessuno osa annunciare
l'aurora, ma nulla serve fermarsi a riconoscere il male se non si propongono
alcuni rimedi. Perché l'Africa non decolla mai? Con tutto quel
potenziale di energie umane che ha, con tutte quelle ricchezze del sottosuolo,
è un continente sempre più povero e misero, perché?
Guardiamo un po' dentro la crisi africana, nella sua tragedia. L’Africa,
innanzitutto, è poco conosciuta dagli africani. Un giorno, un
giovanotto del Congo mi chiese: “Come mai voi, dopo 2000 anni
di cristianesimo, ancora persisterete a venire ad evangelizzarci?”
Rimasi un po' interdetto e stupito e gli risposi: “Noi continuiamo
a credere che la nostra presenza sia più che mai necessaria oggi
giorno, mentre voi africani, quando trovate uno spiraglio di un piccolo
interesse materiale, vi dimenticato della vostra realtà. Voi
siete coloro che amano meno la vostra patria!”. Vediamo medici,
che appena ottenuta la laurea, si intrufolano negli ospedali; anche
preti, che si inseriscono nelle diocesi senza neppure che la comunità
ne sappia nulla e cercano naturalmente di sistemare i loro familiari.
L'Africa è poco conosciuta dagli africani: pensate che l’85%
delle ricerche dell'Africa si fa fuori dall'Africa! Loro la conoscono
concretamente la loro realtà, ma non la capiscono. La crescita
demografica è circa del 3%, cosa che viene presentata come una
catastrofe, origine e madre di altre catastrofi. Considerando il raddoppio
della popolazione in venticinque anni è un problema, non di preservativi,
ma di natura politica, di organizzazione e di convinzioni umane.
Molto più serio è il fenomeno dell'urbanizzazione galoppante
e senza scopi: cioè programmi, verso false città improduttive
che assorbono e ammassano il 50% delle popolazioni. Il pericolo della
marea nera demografica è meno denunciato dagli africanologi.
C’è il gravissimo problema della rotta ecologica. L'Africa
settentrionale un tempo era popolatissima, come mai ora ci sono tanti
deserti? La continua deforestazione, tutto l'arco settentrionale ha
come unica ricchezza il petrolio, però è scomparso l'albero.
La deforestazione è stata compiuta in maniera selvaggia, con
un super sfruttamento delle risorse, con l’estinzione accelerata
delle biodiversità, l’intossicazione del suolo e della
gente da pesticidi e da prodotti fitosanitari, alimenti avariati, il
parco automobilistico rottamato dal Nord, i rifiuti tossici, materiale
usato e non riciclabile, desertificazione e quindi deficit idrico.
Il grande problema dell'Africa riguarda anche noi: il quadro sanitario
è disastroso, la speranza di vita arriva a stento a 52 anni;
una donna di 45 anni è già una vecchietta, ci sono venticinque
anni di differenza tra la nostra e la loro sopravvivenza. Un medico
su 15.000 abitanti, e in molti posti poi ce n’è uno solo
su 57.000 abitanti, e con una preparazione “in quella maniera”.
Le cause della scarsa longevità sono varie: epidemie pandemiche
vecchie e nuove, malaria e malattie diarroiche e parassitarie, amebiasi,
aids: pensate che il 50% dei malati del mondo sono in Africa. Ha avuto
da dire un nostro politico, che andando in Africa, ha trovato che una
delle colpe dell'Aids nel sud del continente sarebbe della Chiesa cattolica,
perché proibisce l'uso del preservativo. Gli hanno risposto:
“Aggiornati! Appena il 7 - 8% dei cattolici possono influire poco
come rimedio per questa piaga e gli altri se ne infischiano”.
C'è ben altro: 25 milioni colpiti dall'Hiv e 11 milioni e più
di bambini che hanno perso entrambi i genitori;di igiene poi non ne
parliamo, specialmente in certe tribù. La malaria: più
di un milione all'anno, anche se la malaria si potrebbe curare, ma il
virus si è modificato e quindi la clorochina non è più
efficace. Abbiamo avuto molti giovani padri missionari ammalati, e poi
morti dalla malaria cerebrale.
La mortalità infantile è spaventosa: il 35%. Fame e lebbra
non dimentichiamole: oggi giorno sarebbe anche facile curarle anche
se, per certe convinzioni tribali, è considerata un castigo degli
spiriti per i peccati commessi in una vita precedente, ma questo solo
in alcune tribù, quindi stentano a farsi curare perché
sono segnati a dito. Scandalosi i bilanci degli stati africani: difesa
nazionale 23%, contro il 15% dell'educazione di base e del 10% della
sanità. Esiste una difesa nazionale, una promozione nazionale,
più importante dell'educazione e della sanità?
La povertà leggendaria dell'Africa è legata all'analfabetismo:
un paese non è povero perché non ha mezzi economici. Il
Giappone non ha mezzo chilo di materia prima, anche in Italia siamo
il paese più povero dell’ Europa come risorse naturali.
L'Africa è il contenente più ricco e agonizza, è
ai limiti dell'agonia e della miseria, come mai? Manca l’alfabetizzazione,
l'educazione. Tutta l'economia africana è sottoposta a un nuovo
tipo di colonizzazione. Molti stati, la maggioranza, sono passati sotto
il governo di militari, che di politica se ne intendono poco e, per
giunta, si preoccupano solo di arricchirsi. Quindi si è trasformata
in un nuovo asservilismo e colonizzazione economica, per cui inglesi,
francesi e altri paesi continuano a mantenere il contatto con la gente
senza averne gli oneri. Lo scambio commerciare è assai scarso,
quasi inesistente: noi produciamo ciò che non consumiamo e consumiamo
ciò che non produciamo. Si ha la sfacciataggine di dire che l'Africa
è in ritard, perché non è abbastanza integrata
nel mercato mondiale, ma quale mercato? Il mercato della miseria, della
tratta dei neri, dello sfruttamento dei loro beni e delle loro risorse.
Ci sono in Africa circa 100.000 tecnici stranieri, ma le loro ricerche
restano sempre dei progetti mancanti di coesione organica, usati per
lo più per vendere le nostre carabattole: il frigorifero elettrico,
ma a cosa serve? I trattori che Fiat manda come regalo, ma poi non ci
sono i pezzi di ricambio e neppure le scuole di istruzione agraria!
Manodopera di comodo, resta un paese inerte, passivo, ridotto allo stato
di oggetto, che non arriva a mutarsi in attore.
Incapacità di organizzarsi in federazione di stati:quello che
in fondo aveva iniziato Nierere. Le frontiere, diceva, sono così
assurde che si sono dovute sacralizzare. Molti paesi poco estesi e con
poca gente, non possano pianificare nessun programma economico ragionevole
ed efficace. Ecco, vedete le frontiere, fatte con una mancanza di idiosincrasia
africana: come si fa a tagliare una tribù come una torta, assegnandone
un pezzo ad uno stato ed un pezzo ad un altro? Ecco che la tragedia
si innesca e nessuno ne parla: tutti zitti, perché c'è
il petrolio. La grande difficoltà di scambio commerciale, la
mancanza di vie di comunicazione, e governi per la maggioranza militari,
colpi di Stato in ogni tempo, infarti cronici e con quanti by pass?
In una situazione così, gli africani cosa devono fare?
Domandarsi come nel proverbio africano: se il tuo ventre ha fame interroga
la tua mano! Vedete non hanno il senso delle risparmio, dell'inventiva;
questa secolare miseria, questa lotta per la sopravvivenza li ha indotti
a creare una certa natura di passività anche perché non
hanno avuto nessun incentivo da parte nostra.
Occorre superare le barriere tribali, una delle cause di queste crudeli
lotte fratricide, le lotte tribali e le lotte per il potere militare,
portano sempre di più in arretrato questi paesi. E noi come dobbiamo
guardare all'Africa? Dall'Africa ci separa il Mediterraneo e il Mediterraneo
è grande come il Sudan, è qui l’Africa, alle porte
di casa. Una buona vita e un respiro per l'Africa è anche un'assicurazione
di un avvenire di sicuro per noi. Guardare l'Africa con umiltà
e consapevolezza delle nostre responsabilità occidentali: la
schiavitù, lo sfruttamento… ecco perché papa Wojtyla
ha cercato sempre di chiedere perdono all'Africa, Se l’Africa
si trova così è per colpa nostra. Il piano geniale del
Comboni, morto nel 1881, era di credere nelle capacità dell'africano.
Lui aveva già iniziato ad ordinare un sacerdote nero, mentre
da noi alcuni addirittura dubitavano che i neri avessero l'anima!!!
Non dimentichiamoci che il 51% del popolo africano ha meno di vent'anni,
è un popolo giovane! Che naturalmente dobbiamo accettare e raccogliere
così, con la sua cultura, le sue tradizioni; invece noi siamo
un po' invadenti e forse anche un po’ schiavisti psicologicamente,
infondo ci piacerebbe assimilarlo alla nostra cultura, al nostro modo
di agire. Anche la convivenza con la gente nera, con i sacerdoti neri,
non è facile. Naturalmente dobbiamo, camminando al loro fianco,
andare al loro passo; noi abbiamo la frenesia della formula 1, mentre
per loro l'orologio non esiste, l'Africa è eterna! Bisogna avere
pazienza, il tempo non è nel loro concetto, però arrivano.
Il danno peggiore che possiamo fare a questi nostri carissimi fratelli
africani è quello di non parlare dei loro problemi, tacerli o
sottacerli. Ecco perché l'agenzia Misna è importante,
è importante per dare voce a chi voce non ha. Il silenzio diventa
complicità! Il miglior servizio che si possa fare ai nostri fratelli
africani è quello di parlare al mondo dei loro problemi.
L'Islam sta invadendo l'Africa, facendo un proselitismo capillare; noi
cristiani non siamo chiamati a fare proselitismo, noi siamo chiamati
ad annunciare il Vangelo, a gettare il seme. Non c'è più
tempo da perdere, ne abbiamo già perso anche troppo! Quando andiamo
in Africa bisogna adattarsi il più possibile al loro stile di
vita e non dimostrare impazienza: devo essere umile, cercare di capire
il loro modo di vedere e di vivere il loro stile, per quanto mi sia
possibile. Poi, annunciare il Vangelo. Certo, non saremo mai la grande
maggioranza, ma il gruppo che deve essere il lievito. Più che
la costruzione di grande opere, fatte magari con sfoggio di potere,
cosa serve adesso? Che non si facciano più opere senza che siano
pianificate dal consiglio pastorale della comunità: devono sentirle
proprie queste opere, anche se l'apporto nostro fosse del 40-50%, bisogna
far si che siano loro a fare la loro chiesa, a sentirla propria, bisogna
iniziarli ad essere loro gli attori della loro ripresa.
L'aiuto più grande che potremmo dare all’Africa sarebbe
quello di parlarne, di sensibilizzare i nostri parlamentari europei
perché facciano pressione sui governi, usando anche l'arma del
petrolio (perché no?). Ma l'opera maggiore dove dobbiamo concentrare
tutte le nostre forze e attenzioni è l'educazione. Non dobbiamo
mai dimenticare che un paese è povero quando è povero
nella testa, perché l'Italia il Giappone, la Corea e altri paesi
non hanno neppure un chilo di materia prima, eppure sono diventati fra
i più grandi paesi, concorrenti nel campo industriale e commerciale,
del mondo. E l'Africa, il continente più ricco, è il continente
più povero. L'India è la più grande nazione, che
esporta cervelli. L'opera fondamentale per risollevare l'Africa è
indubbiamente l'educazione, è un'opera fondamentale perché
l’Africa non nascerà per le nostre forze, ma solo attraverso
il suo popolo. Per alcuni il problema dell'Africa sembra ridursi solo
al debito internazionale, al che io faccio sempre questo paragone: c'è
un moribondo, collegato con tanti tubetti alle apparecchiature di una
sala di rianimazione, ed io, con il piede, gli sto pestando la cannuccia
dell'ossigeno. Lui mi dice di toglierlo anche se gli permangono tutti
gli altri malanni… quindi a chi lo condoni questo debito, a chi?
Al governo, il quale la maggior parte dei suoi investimenti li fa all’estero,
e compra armi su armi… come gestirlo?
No, non è facile il problema dell'Africa, è un problema
che è insito all'interno del tessuto africano e noi, anche con
i nostri piccoli gesti, possiamo dare il nostro contributo, e il miracolo
della pesca miracolosa riesce a dare bene il senso alle parole che ho
appena detto: pochi pani e due pesciolini sono riusciti a sfamare migliaia
di persone! Questo può accadere anche adesso, anche se siamo
in un mare di miseria, grande come il mare di petrolio sul quale galleggia
l'Africa! I nostri piccoli gesti, il nostro piccolo apporto, possono
riuscire a salvare il mondo, a fare guarire questo ammalato grave, che
è il nostro fratello africano al quale dobbiamo moltissimo e
soprattutto al quale dobbiamo chiedere perdono.
Cerchiamo di non perderci mai d'animo e domandarsi: io che cosa posso
fare? Non dimentichiamo la preghiera, non dimentichiamo il nostro appoggio
ai missionari, e se il Signore vi chiamasse a prestare un po’
del vostro tempo per aiutare questo popolo, ringraziatelo perché
è grande l'opera di colui che va a portare Cristo e a testimoniare
Cristo.
P.
Giovanni Vedovato Missionario Comboniano, residente al Centro Animazione
Missionaria di Lucca. Giovanissimo entrò nell’istituto
Missionario, seguito poi da un fratello che a 38 anni morì martire.
50 anni di vita missionaria, con una breve esperienza in Africa, Uganda,
poi un lungo periodo di apostolato in America Latina (Perù e
Chile). Ora dedito all’animazione missionaria qui in Toscana,
È tutt’ora infiammato di amore per la gente che ha lasciato
fisicamente, ma che ancora porta nel cuore. Assertore convinto che siamo
noi i chiamati (i veri cristiani) ad edificare la nuova civiltà,
fondata sulla giustizia, la verità e il perdono. Che il mondo
dei diseredati non si salverà solo con le buone intenzioni...
scaricandone le responsabilità agli altri, per cui urge ricordare
quello che Gesù risorto disse agli apostoli, “Coraggio
non temete, perchè io ho vinto il mondo“. Noi siamo i chiamati
a realizzare questo sogno.