P.Corrado Trivelli e MArco Tibaldi

Uomo di oggi e missionarietà

Prato: domenica 18 novembre 2007

Incontro di informazione e formazione alla Missione
Relatore: Prof. Marco Tibaldi

Postmoderno ovvero la crisi dei fondamenti
La prima parola che incontriamo non può che essere postmoderno. Essa non designa principalmente una serie di eventi storici, quanto piuttosto una nuova sensibilità, un nuovo insieme di valori, un nuovo modo di intendere il tempo e la storia, insomma una condizione postmoderna. In questo senso il postmoderno designa prima di tutto un nuovo modo di vivere, uno stile di comportamento.
Le principali metanarrazioni che hanno segnato il cammino della modernità sono a giudizio di Lyotard, l’illuminismo con al centro l’esaltazione dei poteri della ragione, cui hanno fatto seguito l’idealismo e lo storicismo padri del grande mito del progresso.

La scienza nuova: dal trionfo alla crisi

Nel volgere di un paio di secoli si passa dalla millenaria concezione “fissa” dell’universo ad un’altra tutta incentrata sull’idea di movimento inteso sia come evoluzione biologica delle specie (Darwin) che come allontanamento progressivo dei corpi celesti (Hubble). Fino al novecento, però, regna incontrastata la fiducia di riuscire a dominare questo grande e perfetto meccanismo tramite un ferreo determinismo, che ha come suo linguaggio i concetti della matematica e della fisica.
Scienziati come Einstein, o Heisenberg hanno incrinato la fiducia nella possibilità di potere determinare e prevedere con esattezza tutti i fenomeni fisici. In particolare Einstein con la sua teoria della relatività ha introdotto un concetto, quello di relativo appunto, che ha avuto una larga diffusione anche nella mentalità comune. Gli sviluppi della scienza del novecento hanno poi favorito il diffondersi di una mentalità incentrata sempre più sui concetti di probabilità, casualità e come si dice recentemente complessità.
La cultura postmoderna, che si caratterizza, quindi, per la scomparsa della fiducia in un unico punto di unificazione della realtà, che, al contrario, si presenta sotto molteplici aspetti: è una realtà plurale, che non può essere nè riconciliata nè unificata.

Il nichilismo

Un altro tratto che fa parte della coscienza postmoderna è senz’altro il cosiddetto nichilismo diffuso da F.Nietzsche a cavallo tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento. Esso culmina nella celebre affermazione della «morte di Dio». Dio, come spiegherà M. Heidegger, altro nume tutelare del postmoderno, visto come il termine che raccoglie in sè ogni tentativo di dare un fondamento oggettivo e normativo al mondo e all’uomo, è morto, e noi l’abbiamo ucciso.
In continuità con Nietzsche, pensatori come G. Bataille, o H. Marcuse hanno fatto coincidere l’ethos con l’eros fino alle sue estreme conseguenze, mostrandone così gli esiti paradossali e nefasti. L’eros, per Bataille, lasciato in completa balia di sé, si scopre dominato da una sorta di continuo rialzo della posta in gioco, che non si accontenta di unirsi all’altro ma lo vuole possedere interamente fino ad annullarlo. Da tali premesse è risultata anche una abnorme esaltazione della diversità in tutte le sue forme, considerata come un nuovo fondamentale valore.

Il tempo della misericordia

Uno degli esiti più nefasti della postmodernità è stato il diffondersi del nichilismo. Ora però siamo, malgrado tutto, inequivocabilmente posti di fronte all’inconsistenza ed al fallimento etico e culturale cui esso approda. Se questo ennesimo insuccesso spalanca da un lato baratri di angoscia, dall’altra esso può essere colto come un’occasione provvidenziale per annunciare il cuore della buona notizia cristiana: l’annuncio della misericordia del Padre che opera particolarmente in favore della pecora perduta.

L’esperienza di Abramo

L’avventura di essere cristiani è in primo luogo avere fiducia in Dio. Questa è una grande novità che porta a ridefinire tutta la propria esistenza. Le storie contenute nella Bibbia non sono dei semplici esempi da imitare, ma parlano effettivamente di noi, delle nostre dinamiche, delle nostre paure e desideri e di come Dio intervenga in essi. Per questo ognuno vi si può riconoscere. Non a caso sempre Paolo afferma che Abramo è “nostro padre nella fede” (Rm 4,11) poiché i cristiani, ma prima di loro già gli ebrei, e dopo per molti aspetti anche i musulmani, riconoscono nella sua esperienza di Dio un momento fondamentale del proprio cammino religioso.
La vicenda di Abramo e Sara ci introduce in modo diretto alla sco­perta della novità di Dio che si prende cura dell’uomo e della donna così come sono e si offre a loro come amico fidato. Abramo è anche colui che ci invita a riscoprire la bellezza della fede, del fidarsi di Dio, che è l’unica condizione perché la novità di Dio possa dispiegarsi in tutta la sua potenza all’interno della nostra vita e sentiamo l’urgenza di comunicarla agli altri.

La nostra esperienza

Le promesse che Dio ha fatto ad Abramo e Sara all’inizio della loro storia sono valide anche per noi. Dio chiama ogni coppia umana a fidarsi di lui, a seguirlo per costruire insieme con lui una storia nuova, a ricevere benedizione e fecondità. La loro vicenda coniugale comincia con l’esperienza triste della sterilità: letta simbolicamente questa è una dimensione che tocca tutti i coniugi. Non esiste, infatti, solo una sterilità della carne, ma ne esiste anche una, a volte più dolorosa della prima, di tipo relazionale.
Ebbene Dio ancora una volta ci sorprende perché si presenta a noi, proprio come fece con Abramo e Sara, come uno che si prende cura delle nostre sterilità, piccole o grandi che siano, e ci offre la promessa che propria grazie a loro potrà accadere qualcosa di nuovo e insperato.

Dalla delusione alla gioia: i discepoli di Emmaus

Un altro episodio ci può aiutare a capire le dinamiche del cam­biamento. In questo brano il punto di partenza è molto interes­sante perché si tratta di due discepoli che sono rimasti profonda­mente delusi dall’operato di Gesù. Essi avevano investito tutta la loro vita per andargli dietro, sicuramente avranno dovuto vincere molte resistenze del loro ambiente.
Gesù però ai loro occhi si è rivelato deludente. Dopo una prima fase in cui tutto sembrava andare per il meglio (le folle accorrevano, Gesù e loro stessi compivano numerosi miracoli, ecc.) sono cominciati i guai. Gesù, infatti, capisce che per essere messia come vuole il Padre, occorre morire e morire in malo modo, rischiando di coinvolgere anche loro nel suo gorgo incomprensibile. E qui è scattata la delusione non senza una certa dose di rabbia e rimpian­ti forse per non aver dato ascolto alle tante voci che dentro e fuori di loro ammonivano “te l’avevo detto...”. Per questo, ora se ne vanno a Emmaus, lontani da Gerusalemme, il luogo dove si è consumata la tragedia, la morte in croce di Gesù, che ha mandato in frantumi il loro modo di capire come e cosa debba fare il messia.
Come si comporta Gesù? Come riesce a trasformare la delusione dei discepoli nella gioia per il riconoscimento della sua presenza? Come riesce cioè a cambiare il loro cuore deluso?

Le tappe del cambiamento operato da Gesù

Il cambiamento del cuore deluso dei due discepoli comincia con un paziente lavoro di accompagnamento da parte di Gesù, che si avvicina all’altro, camminando gratuitamente con lui. In secondo luogo, Gesù dà ai due, e in filigrana a ciascuno di noi, la possibilità di esprimere il proprio vissuto, la propria delusione. Tutte le volte che pensiamo che Gesù, o Dio, ci deludano si pro­vano sentimenti di tristezza e di rabbia che spesso tendiamo a non manifestare. Nel nostro brano invece Gesù invita i due a tira­re fuori tutta la rabbia e la tristezza che hanno nel cuore perché senza questa opera non lo si può riconoscere, anche se lui è presente e risorto.
Solo dopo questa prima fase, Gesù comincia a parlare di tutto quel­lo che lo riguardava in relazione alle Scritture. È questo il momen­to del “riscaldare il cuore” attraverso la Scrittura, che illumina e chiarisce le vere e le false immagini di Dio. Se lo avesse detto prima, lo avrebbero rifiutato: ora Gesù parla di sé, al punto che gli altri lo vogliono trattenere con loro. Molto fine­mente, Gesù fa come se dovesse andare oltre, perché non vuole imporre la sua presenza. Una volta accolto in casa, benedice e spezza il pane con loro. Gesù compie un gesto pregnante di rico­noscimento, ma prima di arrivare a questo punto c’è tutto un per­corso per far sì che la “griglia” degli interlocutori si sia allenata ad aprirsi. Ora finalmente i due discepoli capiscono il senso della morte dram­matica di Gesù, quella morte che ha causato il loro distacco. Compreso questo non è più necessario “vederlo” e con il cuore pieno di gioia possono ritornare, anche se è notte, nella comunità dei discepoli per condividere l’esperienza fatta.

Marco Tibaldi, (45 anni ) è sposato e ha quattro figli,
laureato in filosofia presso l’Università di Bologna e in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Insegna introduzione al Mistero Cristiano e Antropologia Teologica
presso l’ISSR (Istituto Superiore di Scienze Religiose) Santi Vitale e Agricola di Bologna.
Ha una vasta esperienza sul problema del primo annuncio.
Alcune sue pubblicazioni:
"Annunciare Gesù
Invito al mistero cristiano”
“Ecco faccio nuove tutte le cose"
insieme a V.Bulgarelli
“Trasformare l'handicap"
"Kerygma e atto di fede nella teologia di H.U. von Balthasar"