È
svizzero
il nuovo Ministro generale dei Cappuccini
|

Il
Capitolo generale dell’Ordine dei Cappuccini, riunitosi a Roma nel
Settembre scorso, ha eletto Mauro Jöhri, Provinciale della Provincia
cappuccina di Svizzera, come nuovo Ministro generale. Mauro è il
successore del canadese John Corriveau, che ha guidato l’Ordine
per 12 anni. Fr. Mauro è nato il 1° settembre 1947 a Bivio
nel Cantone dei Grigioni. Nel 1964 entrò nel Noviziato dei Cappuccini.
Svolse i primi anni di teologia nell’istituto dell’Ordine
a Solothurn. Dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1972, continuò
gli studi alle Università di Friburgo (Svizzera) e di Tübingen
e poi alla Facoltà teologica di Lucerna.
Terminò gli studi teologici con il dottorato presso la Facoltà
teologica di Lucerna. È stato guardiano nel convento della Madonna
del Sasso vicino a Locarno e per quattro anni è stato presidente
della commissione del piano pastorale della Conferenza episcopale svizzera.
Ha insegnato dogmatica e teologia fondamentale alla Facoltà teologica
di Coira e per alcuni anni è stato professore incaricato nella
Facoltà teologica di Lugano. Nel 1989 i cappuccini lo elessero
Superiore della Regione della Svizzera Italiana e nel 1995 Provinciale
della Provincia cappuccina svizzera. Dopo aver terminato il periodo di
Provincialato, ha continuato la sua formazione permanente all’Institut
de formation humaine intégrale di Montréal in Canada. Nel
2005 di nuovo è stato eletto Provinciale dei Cappuccini svizzeri.
Questo periodo di servizio termina ora avanti tempo, perché con
l’elezione a suprema guida dell’Ordine cappuccino internazionale
Mauro Jöhri assumerà subito il suo nuovo compito nella Curia
generale a Roma.
Lo Spirito del
viaggiatore
Andrea
|
Parlare
dell’esperienza del campo lavoro all’interno delle missioni
francescane in Tanzania è come descrivere un diamante dalle molte
facce. Tra tutte le possibili quella che più mi ha abbagliato e
sul quale ricade la scelta di condividerne la visione con i lettori è
quella che riflette la relazione nata dall’incontro con le persone
e gli elementi di questo territorio. Potremmo dire infatti, che uno degli
scopi preminenti della nostra presenza in Tanzania, oltre alla realizzazione
di qualcosa di concreto e utile, risiede proprio nel vivere le relazioni,
le quali hanno luogo nell’incontro. Si può parlare anche
in questo caso di una molteplicità, un poliedro di incontri - con
i tanzaniani, con i bambini, con i missionari, con la natura, con la diversità,
con Dio e così via. Dicevamo che dall’incontro nasce la relazione
e tramite questa fluiscono i contenuti. Ecco quindi che lavorare fianco
a fianco con gli operai della messe della missione, passarsi uno strumento
di lavoro come una zappa o un piccone diventa veicolo di evangelizzazione.
La buona novella, il messaggio di salvezza di Cristo passa tramite piccoli
gesti quotidiani, di strette di mano, di sorrisi, di due parole scambiate
in swahili, in inglese o in italiano, tutte accomunate dalla stessa sorgente,
l’amore per il prossimo.
I bambini sono poi il vero patrimonio di questa terra. Tanti, mal vestiti
e polverosi ma curiosi e dispettosi come tutti i bambini del mondo. L’incontro
con loro nei giochi, nei canti nei salti e nelle rincorse è gioia
vera una volta lasciata da parte ogni resistenza di fronte alla loro voglia
di vivere incosciente e pura. Trascorrere un giorno fianco a fianco di
un missionario è qualcosa che può scardinare ogni visione
del mondo precostituita antecedente all’incontro con uno di essi.
Tutti diversi nei modi, nel temperamento, nel carisma, ma ognuno animato
dallo stesso fuoco - quello di chi ha fatto una scelta radicale, di colui
che ha scelto di seguire Cristo e la sua sconvolgente rivelazione. Puoi
trascorrere giorni e giorni senza fiatare ascoltando le loro storie o
cercando di cogliere il segreto di quell’aura di pionierismo e santità
che li circonda.
Il gruppo partito dall’Italia poi si è nutrito di ripetuti
e costanti incontri all’interno della vita comunitaria della missione.
Durante i pasti come al lavoro nel campo, nei momenti di svago e nella
stanza la sera a lume di candela, si è dispiegata la conoscenza
reciproca, la meraviglia di fronte all’altro diverso da te, al nuovo
incontro che ha in potenza la forza per cambiarti la vita. Nelle preghiere
comunitarie, nella messa, nell’Eucarestia si sono consumati anche
gli incontri spirituali e in tutti i momenti in cui “due di voi
saranno riuniti nel mio nome io sarò in mezzo a voi”. Anche
l’incontro con la natura è diverso rispetto a quello che
si può fare altrove. La dimensione dominante è lo spazio
sconfinato, dove lo sguardo si perde lontano all’orizzonte. Gli
stessi elementi primari, le stelle, la luna, il vento sono vie d‘accesso
ad una visione primordiale, la stessa che contemplavano gli antichi e
dalle quale traevano gli auspici e le indicazioni sul futuro.
Dulcis in fundo non posso non menzionare uno degli incontri cruciali di
questa avventura, quello con un missionario speciale, Padre Corrado -
condottiero e animatore del gruppo partito dall’Italia. Qui è
il cuore a parlare ed in prima persona. Un padre, un amico un fratello
trovato a trent’anni, un dono per il quale sarò sempre debitore
alla Tanzania. E abdicando definitivamente lo stile giornalistico di questo
articolo ritorno su coloro di cui ho già parlato, ovvero i missionari
e le missionarie. Mi permetto di citare due nomi con i quali il destino
ha voluto che io trascorressi più tempo rispetto ad altri ovvero
Baba Egidio e Baba Silverio. Essi hanno marcato a fuoco la mia anima rendendo
questa esperienza indimenticabile, facendomi vivere trenta giorni in uno
stato di stupore e commozione, dato semplicemente dalla loro presenza
e vicinanza. Credo che anche questo sia un miracolo dello spirito. In
estrema summa il mese tanzaniano non solo ha appagato la mia indole di
viaggiatore, nell’accezione di esploratore di territori, culture
e tradizioni ma ha soprattutto restituito al mio io un’aderenza
con il proprio Se, grazie alla verità e all’autenticità
con il quale gli incontri qui descritti sono stati illuminati dallo spirito.
Lo sguardo volge al cielo a Colui che ha permesso che tutto ciò
avesse luogo nella mia vita.
Cosa
ho dato?
Serena ci scrive |
La
mia vera missione è iniziata da quando sono tornata a “casa
mia”, perché l’esperienza vissuta in Africa non si
deve limitare ad un mese della mia vita. Adattarmi all’ospitalità,
quasi imbarazzante quanto gratuita e profonda, è stato naturale.
Dopo pochi giorni di assestamento è stato facile vivere i ritmi
tranquilli africani, molto più lenti e vissuti. La mia esperienza
africana la posso riassumere in una parola: condivisione. Condivisione
del mio tempo, delle mie emozioni, del mio essere cristiana. Non ho
dato niente là, se non me stessa, il mio tempo, il mio sorriso
e qualche mia lacrima. Ho dato una mano alle suore in cucina, a pulire
un dispensario, a far dei disegni per un asilo, ma non avrebbero avuto
alcun senso questi gesti materiali se non fatti in collaborazione con
dei preziosi compagni del campo-lavoro e delle persone del posto. La
reciproca conoscenza è ciò che mi è rimasto nel
cuore e penso, e spero, che anche per loro sia stato così, non
solo un gran bel disegno anonimo. Tornata, quello che mi è rimasto
in profondità sono tante domande nelle mie giornate “super
impegnate” italiane, non ho mai il tempo di fermarmi e chiedere
: “ma Serena, tu, come stai? O cosa ancor più importante:
ma Signore, oggi sei contento di me? Mi sono accorta se un mio amico,
fratello avesse bisogno di un abbraccio?”.
In Africa ho sperimentato tutte questa cose perché spesso i silenzi
erano forzati e non potevo nascondermi con musica TV o tutta la “confusione“
che c’è qua. Li ho sperimentati perché ogni mattina
iniziava con la Messa in Parrocchia, come se la Comunità incominciasse
con un grande abbraccio davanti a Dio per dare un senso profondo alla
vita. Mi sono trovata per delle ore ad ascoltare un missionario far
catechesi in un villaggio, senza afferrare una parola ma credendo di
afferrare il senso del discorso, incollata e attirata dallo sguardo
del missionario. Perché dietro quello sguardo c’è
una grande verità che non ha bisogno di essere spiegata a parole
ma solo osservata, anche per delle ore.
Concludendo, anche nel nostro mondo così frettoloso e spesso
superficiale possiamo fare delle belle esperienze di condivisione e
quindi di missione. Per esempio, basterebbe solo aver la pazienza di
fermarsi accanto al nostro prossimo e scoprire il tesoro che c’è
in lui. Spesso ci troviamo vicino a occasioni di grande crescita, ma
altrettanto spesso non le afferriamo perché troppo impegnati
a guardare il prossimo appuntamento sull’agenda. Per queste riflessioni
e per i fantastici compagni di avventura che ho incontrato nel campo-lavoro
sarò sempre riconoscente all’Africa e a Dio.
La brezza
della missione
Un
toscano ci scrive...
|
Quando pensavo alla Missione e ai
missionari, ricordando certe letture di sapore avventuroso, fatte
durante la mia fanciullezza, credevo di incontrare grandi assemblee
di persone in ascolta della parola proclamata da un missionario,
magari ritto, in piedi su una pietra, oppure su una collinetta emergente
dalla Savana. Sceso in Tanzania con queste immagini in mente, ho
dovuto però liberarmene immediatamente, poiché mi
sono incontrato con altra realtà. Ho scoperto ben altri libri
sulla missione. Un libro che mi ha richiamato quello degli Atti
degli Apostoli.
Ho incontrato Missionari religiosi, suore e laici intenti ad annunciare
dando in primo luogo importanza al dialogo fraterno, con singoli,
famiglie, gruppi di persone e mai numerose. Disponibili a testimoniare
Gesù con gesti e opere umili e semplici, testimonianze non
eclatanti e trionfalistiche, che arrivavano al cuore dell’uomo
e dai singoli alle famiglie e dalle famiglie locali ad altre famiglie,
formando una catena di molti anelli, silenziosi, distribuiti lentamente
per villaggi sparsi nel bosco o nella savana. Piccoli semi che hanno
dato origine alle comunità ecclesiali per le quali il missionario
non si è fermato solo all’annuncio, ma ha dato anche
forti segni concreti di solidarietà. Dove si forma una comunità
nasce l’esigenza di assistenza medica, scuola, asilo e così
alla evangelizzazione si unisce in connubio perfetto: la promozione
umana. Ho capito che le opere sono il frutto dell’albero piantato
nel Mistero Pasquale, sempre vivo e attuale nella vita della Chiesa.
La missione oggi non è più la conversione di masse
di pagani. La missione ci parla di piccoli gruppi che si lasciano
trasformare dalla buona notizia di Gesù. A un giovane padre
che osservava il via vai nel cortile del centro di riabilitazione
dei bambini motolesi di Mlali ho chiesto: “Cosa pensi di questa
casa? Mi ha risposto: non è la soluzione di tutti i problemi,
ma per tutti noi questa casa è un segno di speranza - C’è
ancora gente capace di amare“. Ho pensato alle opere presenti
nelle missioni... sono come una sorgente che sorge in terreno arido
e dove tutti finalmente possono dissetarsi. Parlando con i missionari
ho avvertito che sono consapevoli che il vero missionario è
Dio- Spirito Santo. È Lui la novità che opera nel
mondo. Lui è la presenza di Dio con noi unito al nostro spirito.
“Senza di Lui - ha detto il Metropolita Ignatios Hazim a Uppsala
- Dio è lontano; il Cristo resta passato; il Vangelo lettera
morta; la Chiesa una semplice organizzazione; l’autorità
è una dominazione; la missione è una propaganda; il
culto è un’evocazione; l’agire cristiano è
una morale di schiavi. Ma nello Spirito Santo il Cristo Resuscitato
è presente; il Vangelo è potenza di vita; la Chiesa
significa comunione trinitaria; l’Autorità é
servizio liberatore; la missione è Pentecoste; la Liturgia
è memoriale e anticipazione; l’amore umano è
deificato“.
Mi sono tornate alla mente le parole che P. Corrado ci rivolse in
occasione di un incontro in preparazione all’esperienza di
condivisione: “Immaginatevi la missione come una corrente,
una brezza leggera dello Spirito tra i popoli, che si esprime nell’incontro
liberante con il Dio di Gesù Cristo, nella forza dei sacramenti
e dei carismi, nella concretezza delle opere che esprimono la dignità
dell’uomo e aiutano la crescita delle persone. Sono realtà
diverse, che si completano e si sostengono a vicenda; scaturiscono
dall’unica fonte di Dio Amore. Così mi è apparsa
in questi lunghi anni di servizio ausiliare, la Missione“
Un
Grazie luminoso!
Suor
Pierina
|
Mkoka In risposta al Gruppo CIET,
in particolare al Fondatore e Presidente, comm. Piero Mancini,
Suor Pierina Castellani e sorelle scrivono: “È con
molta gratitudine e riconoscenza, che ringraziamo per il vostro
gesto. Le parole non bastano, e per la grande generosità
nell’inviarci il prezioso “generatore di corrente”:
ci ha dato tanta gioia e sollevato da una serie di preoccupazioni.
Scusate se non ho scritto prima, ma per vari impedimenti è
stato possibile metterlo in funzione soltanto ieri. Qui le cose
non si riescono a fare con rapidità, tutto va lentamente
e ci vuole tanta pazienza, “propria francescana”.
È venuto un tecnico che lavora in Ruanda a mettercelo in
funzione. È tutto ok! I bambini che noi accogliamo sono
molto felici, perché quando manca la luce possiamo avere
quella del generatore. La mia superiora e sorelle tutte esprimono
gratitudine e riconoscenza. Le assicuriamo la nostra costante
preghiera, perché il Dio della misericordia vi ricompensi
moltiplicato per mille, e che il vostro profumo di santità
e carità attragga, tutti quelli che incontrate, al Cuore
Misericordioso di Cristo. Assicurandole la nostra fervorosa se
pur povera preghiera, saluto con riverenza.”
Parrocchia do Buon Pastor C.P. 14748 Kikolo-Ruanda, Angola.
Arturo Santioli
dell’O.F.S di Arcidosso,
ci ha lasciato al Vespro di un giorno dedicato al ricordo della
sofferenza di Gesù.
Venerdì
13 Settembre.
Caro Arturo, alla Vigilia della Liturgia esaltante la Santa Croce
il Signore ti ha sollevato da tutte le umane sofferenze che tu hai
sopportato cristianamente, per darti la ricompensa eterna. Ti ricordo
come confratello dell’O.F.S., assiduo ai nostri incontri e
attento e preciso segretario della nostra fraternità (è
stato terziario francescano dal 19/11/ 1989 e segretario dal 2003).
Ti ricordo anche come scrittore e ricercatore di cose paesane, il
tuo contributo alla cultura popolare sarà apprezzato. Leggiamo
nella cronaca: “molto attivo, ha scritto molti articoli anche
per i giornali locali.
Si è dedicato alla ricerca storica del territorio amiatino
di cui ha fatto alcune pubblicazioni“. Ti ricordo come amico
fraterno nei nostri dialoghi, nei nostri incontri. In quei momenti
tu aprivi la ricchezza del tuo sapere e molto più del tuo
cuore. Ricordo con quale santo orgoglio parlavi del tuo Augusto,
partito volontario per qualche tempo nelle missioni dei Cappuccini
in Tanzania. Certi doni del Signore bisogna apprezzarli perché
rendono meno triste la nostra vita quotidiana. Dall’insegnamento
di Francesco hai appreso e vissuto tante cose: la semplicità,
l’umiltà, la povertà e l’amore a Cristo
Crocifisso. Nei tanti momenti della tua vita hai trovato sempre
qualcuno che ti stava vicino e che tu sempre hai cercato. Non parlo
della tua fedelissima compagna di vita Sira e dei tuoi cinque figli
e dei tuoi numerosi nipoti, ma mi riferisco a quella presenza nascosta
nel tuo cuore che è Cristo e Francesco.
Non mi sono meravigliato perciò della tua richiesta fatta
qualche settimana prima, dopo aver ricevuto l’Eucarestia e
l’Unzione degli infermi in piena lucidità, mi hai chiesto
che nella tua sepoltura ci fosse anche l’abito francescano.
Anche se di là non ci saranno vesti speciali, volevi essere
riconosciuto subito al tuo ingresso dal nostro Padre San Francesco,
perchè ti portasse dinanzi al trono di Cristo Signore per
ricevere il Benvenuto: “Vieni servo buono e fedele, entra
nel gaudio del tuo Signore “.Te lo auguro con tutto il cuore!
Un fratello.
|