«Prima di entrare in argomento,
sarà bene ricordare che cosa sono questi Convegni Ecclesiali.
Io ne parlo sempre con una certa commozione perché, avendo avuto
la fortuna di lavorare con Monsignor Bartoletti, quando lui era segretario
della CEI ed io ero il vice, sono stato testimone della genesi del primo
convegno, quello del 1976, cui hanno fatto seguito Loreto nel 1985,
Palermo nel 1995 e, finalmente, quest’ultimo, il quarto, a Verona.
Nel 1974 la Chiesa italiana aveva sperimentato la prima grossa frattura
al proprio interno: l’oggetto era il divorzio; alcuni ritenevano
che si dovesse votare compatti per il no, altri che non potesse essere
imposta l’indissolubilità del matrimonio, per legge, anche
ai non cristiani.
Monsignor Bartoletti non ebbe dubbi: dobbiamo dare un gesto di unità
alla chiesa, che vada al di là di opzioni politiche. La sua linea
prevalse e così fu indetto il Convegno del 1976, cui presero
parte “quelli del si” e “quelli del no”, che
ebbe come titolo Evangelizzazione e promozione umana. Nel frattempo,
qualche mese prima del Convegno, era morto Monsignor Bartololetti, e
fui io a presiedere il Comitato Preparatorio. L’esperienza fu
entusiasmante: per il clima di libertà che per la prima volta
in 2000 anni la Chiesa italiana sperimentava, con grande rispetto di
tutti, che occasione! Ho visto gente ballare sulle sedie dalla gioia,
ho visto chi piangeva di fronte a certi interventi assolutamente liberi,
ma anche responsabili; si capiva che esser Chiesa non voleva dire mettere
il cervello all’ammasso, ma sentire la libertà dello spirito!
Il convegno ha sempre mantenuto la propria caratteristica di un grande
incontro di tutte le componenti della Chiesa italiana. Se avete seguito
l’ultima edizione, quella di Verona, vi sarete accorti che, a
parte 200 vescovi e poche centinaia di sacerdoti, la maggior parte dei
partecipanti erano laici. Entro nel tema. Ora, che il convegno è
finito, inizia quello sforzo di applicazione nella nostra vita quotidiana.
Qui sono tre gli aspetti indicati nel titolo: Cristo risorto, speranza
del mondo, sorgente della testimonianza. Cominciamo
allora da Cristo risorto: Se Cristo non è risorto, dice san Paolo,
vana è la nostra fede. È proprio così! Se siamo
cristiani, lo siamo perché perché Cristo è risorto.
Ricordate il sabato santo? La mattina, le donne che vanno al sepolcro,
Maria Maddalena, la prima visione di Gesù, e poi di corsa dagli
apostoli: “Cristo è risorto!”. Qualche volta, a leggere
queste cose, si resta ancora stupiti, ma non crediate che Maria Maddalena,
le pie donne e gli apostoli siano stati facilitati nel credere alla
resurrezione del Signore. Era una realtà talmente fuori quadro
e, nel Vangelo, quando Gesù preannuncia la sua resurrezione,
gli apostoli non capiscono neppure cosa voglia dire risorgere dai morti!
Perciò non dobbiamo meravigliarsi se anche per noi la resurrezione
è qualcosa che ci sconvolge e, in un certo senso, ci coinvolge.
Ricordate
san Tommaso che non era presente e che poi, otto giorni dopo, si sorprende.
“Signore mio e Dio mio!” E’ la prima espressione che
attesta la fede nella resurrezione di Gesù. Adesso noi diciamo
“mistero della fede!”. Vedete che la fede nel Signore risorto
si allarga un po’ alla volta finché evidentemente diventa
la base…

Il documento di preparazione del Convegno di Verona, a questo riguardo,
dice una cosa molto bella: vedere il risorto comporta un’esperienza
di conversione e quindi non bisogna meravigliarsi di aver bisogno di
convertirci e di approfondire sempre di più le cose, e di poter
man mano attingere anche noi, come hanno fatto i discepoli di Emmaus:
“Ma guarda, l’avevamo nel cuore, sentivamo qualcosa, fin
quando poi l’abbiamo potuto incontrare!”. Poi c’è
un’altra conversione, come dice il testo di preparazione di Verona,
la seconda conversione riguarda il volto della Chiesa. Vedere il risorto
significa che la comunità dei discepoli, che ha seguito il maestro
per le vie della Palestina, deve diventare la Chiesa-comunione che mette
il risorto al suo centro e lo annuncia ai fratelli, come la donna che
parte dal giardino della resurrezione e va a dire ai suoi discepoli:
“Ho visto il signore!”
La seconda frase del nostro tema è speranza del mondo. Cosa vuol
dire speranza? Speranza vuol dire fiducia, senso della vita. Perché
io spero? Perché sperando mi sembra di aiutare la vita ad avere
un significato. Speranza vuol dire anche coraggio. Se io spero, perbacco,
allora sono pronto a buttarmi, come fate voi del resto, no? Anche andando
in missione! Allora cosa intendiamo quando diciamo speranza del mondo?
Cominciamo a dire che nel mondo c’è la Chiesa, e Dio sa
se anche la Chiesa, le nostre comunità, hanno bisogno di speranza,
di questa speranza, per poter superare tante lacune e cupezze. Ma quando
diciamo Cristo risorto, speranza del mondo, dobbiamo allargare il quadro.
Non parliamo soltanto del mondo cristiano, dobbiamo prendere il mondo
nel senso più vasto, perché Cristo è morto per
tutti, perciò vedete che l’aspetto missionario che a voi
interessa in prima persona è proprio dentro questa visione di
mondo più largo dove, quanto più qualche volta si è
lontani dalla fede in Cristo risorto, tanto più c’è
bisogno di un intervento di speranza nel mondo inteso come realtà
cosmica, l’umanità e l’intero creato.
Per concludere questo secondo paragrafo potremmo anche ricordare una
grande Verità, messa in luce dal Concilio Vaticano II e non ancora
attuata: la Chiesa è disegno di Dio, che si realizza nel popolo
di Dio. Siamo tutti popolo di Dio perché siamo tutti consacrati
nel battesimo. Che questo sia vero, nessuno più lo mette in dubbio,
grazie a Dio, ma dal punto di vista pratico, i laici sono considerati
sempre cristiani a pieno titolo? Mi ha fatto piacere che il Papa a Verona,
parlando ai laici, presenti lì come Chiesa italiana, ha parlato
della necessità di arrivare ad una corresponsabilità,
permettetemi questa semplice sottolineatura: i laici sono corresponsabili
nella vita della Chiesa. Cosa
vuol dire essere corresponsabili? Vuol dire che le grandi scelte si
fanno insieme. Questo non vuol dire togliere la responsabilità
a chi dal Signore, attraverso un sacramento, ha avuto il compito di
dire l’ultima parola, ma dire l’ultima parola non vuol dire
negare tutte le altre parole che, qualche volta, sono determinanti per
prendere una decisione.
L’ultimo,
il terzo aspetto preso in considerazione, è quello della sorgente
della testimonianza. La testimonianza è la prima forma di intervento
nella vita della Chiesa e del mondo. Quando il Signore ci chiede di
essere testimoni ci dice: “Voi dovete dire quel che avete visto”.
Voi direte: “Ma io non ho visto niente!” Anche gli apostoli,
San Paolo, non dicevano alla prima generazione cristiana: “Voi
non avete visto che le conseguenze, l’avete accettate per fede
ed è come se aveste visto”? La testimonianza è la
prima pratica che dobbiamo attuare se vogliamo estendere il regno di
Dio, e questo vale per tutti. Se è vero che come Chiesa il nostro
primo dovere è di evangelizzare, dobbiamo comunicare la buona
novella. “Ma dove vado io, se non so neppure parlare? E anche
se sapessi parlare, cosa potrei dire?” Ma quando sgobbate, quando
fate qualcosa di bello e di buono che tutti vedono: musulmani o scintoisti
ecc.. non possono, dice San Pietro, non possono non vedere quello che
facciamo di bello e dare gloria al Padre che è nei Cieli. Già,
nel Vangelo San Pietro dirà: “Cercate di adorare Cristo
nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione
della vostra speranza”.
E
allora, senza la nostra fede in Cristo risorto, come possiamo rendere
testimonianza agli altri? Cristo risorto è la sorgente della
speranza, Cristo risorto è la radice della speranza, Cristo risorto
ci offre le righe su cui scrivere la nostra testimonianza... “Voi
siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale” parole che a prima
vista possono sembrare lontane, ma invece dimostrano che la visione
del disegno del Signore è dentro ciascuno di noi.