Ho scelto di vivere come un missionario, ma da volontario laico,
almeno per il momento, poiché non escludo che col tempo
possano maturare anche altre scelte. Come è avvenuto
per una mia conoscente, oggi Suor Cecilia Pasquini. Durante
il mio recente ritorno in Italia, sono stato circondato dall’affetto
di molti amici e sotto il tiro di mille domande, tra le quali
una che mi ha particolarmente ferito. Un’amica mi ha domandato
informazioni sulla figura del missionario oggi, come io che
ci vivo a fianco, lo vedo e lo giudico.
La domanda dell’amica era motivata da un precedente colloquio
che lei aveva avuto con un giovane sacerdote missionario ritiratosi
dalla regione missionaria perché era rimasto deluso di
come andavano le cose; accusava i suoi confratelli missionari
di dedicarsi molto alle varie attività, ma poco all’evangelizzazione.
“Io sono sceso in Missione per portare Cristo e il suo
Vangelo e non per costruire asili e scuole; a quelli pensino
i governi del luogo o altri enti che operano a livello internazionale
per lo sviluppo dei popoli “.
Come prima chiarificazione, vorrei ricordare al giovane Padre
e fratello, che quando incontriamo delle difficoltà,
non è bene fuggirle, ma affrontarle, per migliorare le
situazioni. Seconda puntualizzazione: non credo che i missionari
costruttori di asili, scuole e dispensari medici siano degli
imprenditori, impresari o capi cantiere, ma piuttosto persone
che hanno capito che la promozione umana parte dal messaggio
evangelico. Dopo un grande convegno ecclesiale della Chiesa
Italiana fu coniato questo nuovo slogan: “Il Vangelo è
promozione umana”.
Come terza considerazione pongo la mia esperienza personale,
vissuta a fianco di diversi missionari, sacerdoti, religiosi
e religiose e laici in missione permanente. Fin dai primi tempi
in cui mi sono avvicinato a questi fratelli e sorelle, mi ha
colpito la serietà e metodicità con la quale si
dedicano alla cura della loro vita spirituale e all’aggiornamento
pastorale, per non rimanere aridi e radicati a un passato che
ha portato senz’altro i suoi frutti, ma che oggi ha necessità
di essere aggiornato.
Assidui all’incontro mensile con il proprio Vescovo, con
corsi di formazione permanente, non solo quando tornano alle
sedi di origine, ma anche in regione missionaria, dove i superiori
accompagnano e curano la vita spirituale dei confratelli affidateli
dall’Ordine. In diversi di questi territori missionari
è nata e sta crescendo la famiglia religiosa. Diversi
sono i giovani che si orientano verso scelte del Carisma religioso,
senza tralasciare la scelta del sacerdozio Diocesano che numericamente
oltrepassa alla lunga il numero delle vocazioni religiose.
Ciò significa che i missionari venuti dall’occidente
o dall’oriente che sia, hanno seminato qualche buon seme.
Inoltre sento di poterli definire come San Francesco, giullari
di Dio. Quando li vedo raggiungere villaggi e zone impervie
della savana, per portare conforto e sostegno a tanti fratelli
e sorelle in difficoltà o quando li vedo sudare insieme
a loro per assicurare ai campi un buon raccolto, invitando alla
speranza e all’ottimismo le comunità che, come
quest’anno, disperano per l’assenza delle piogge.
In tre anni che vivo con loro, non li ho visti mai trascurare
la vita religiosa, ma li ho visti anche impegnati nella vita
sociale ed economica del paese, soprattutto collaborare nel
settore dell’educazione, stimolando le comunità
alla partecipazione, ad inserirsi in quelle organizzazioni necessarie
per lo sviluppo dell’ambiente sotto tutti gli aspetti.
È inconcepibile fermarsi solo all’annuncio del
Vangelo, senza condividere situazioni difficili e problematiche.
È un’assurdità pensare che sia possibile
vivere in una realtà così diversa, così
povera e talvolta divorata dalle malattie insanabili, senza
portare in sé la carica che si sprigiona dal messaggio
evangelico, la fede che fa camminare scandendo la giornata,
anche se faticosa, con la preghiera.
Noto ancora che in certe Comunità di Missione, i Padri
sono riusciti con l’aiuto delle Suore a creare gruppi
di fedeli che collaborano nella evangelizzazione e nella catechesi.
Mi ha colpito come in una missione siano presenti i gruppi di
preghiera in altre le comunità di base, e soprattutto
come si cerca di far crescere la comunità prestando particolare
attenzione alle famiglie che vengono visitate in alcuni periodi,
sul sistema dei nostri centri di ascolto, cioè casa per
casa o a gruppi di famiglie. Giovani, adolescenti, adulti, entusiasti
nel vivere la propria fede e a viverla con gioia e con grande
spirito fraterno, che si estende anche nei confronti degli ospiti,
anche all’ultimo arrivato come sono io.
Oggi
questi laici formati alla vita evangelica e di comunità
sono capaci di unirsi ai Padri nel raggiungere villaggi lontani
con popolazione ancora pagana, e la missionarietà non
è più legata al Padre o al fratello che viene
dal mondo occidentale, ma insieme alla realtà ecclesiale
già presente e a suo tempo fondata sì da questi
uomini e donne “tutto fare”, ma tra questo tutto
fare non è stata trascurata l’evangelizzazione,
ma è stata compiuta e nel migliore dei modi. Ringrazio
il Signore, per questa chiamata a vivere a contatto con queste
persone, non eroiche come spesso alcuni le definiscono e neppure
straordinarie, ma persone che sull’esempio di Francesco,
di Madre Teresa e di molti altri, non hanno posto limiti alla
loro volontà di amare, senza scoraggiarsi di fronte alle
delusioni, che senz’altro non sono mancate.
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Religiosi e lotta
all'AIDS
Da Raggio anno 72 n°4, Aprile 2006
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Un
gruppo di 40 religiosi, uomini e donne, provenienti da vari paesi
ed appartenenti a varie congregazioni si sono riuniti a Roma
dal 12 al 14 dicembre 2005, per un incontro dal titolo: “I
religiosi e religiose nel mondo e la pandemia hiv/aids,fra impegno,
sfide e profezia”.
La
realtà: L’aids è stato considerato dall’Oms
come uno dei tre principali pericoli per il pianeta insieme ai
rischi climatici e nucleari. La situazione dell’infezione
nel mondo (dati Unaids 2005) è quella di un’epidemia
ancora in corso di espansione, con grande incremento del numero
di persone infette in Europa dell’Est e in Asia. A dicembre
2005 la stima del numero di persone che vivono con l’hiv
è di 40 milioni. L’aids ha già ucciso 25 milioni
di persone da quando è stato riconosciuto nel 1981...
Anche se ci sono nuovi casi in ogni parte del mondo, l’Africa
Sub Sahariana resta la più fortemente colpita ed ospita
circa 26 milioni di hiv positivi, ciò significa due terzi
di tutte le persone che vivono con aids. Risposte e sfide: “Gli
si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e
vino (Lc 10,34)”: Queste sfide richiedono la cooperazione
fattiva di tutti gli uomini e le donne di buona volontà,
di agenzie internazionali con Ong e Obf, la cooperazione cross
culturale e la condivisione di risorse che possano garantire la
migliore cura, educazione e prevenzione che la nostra creatività
umana possa mettere insieme. In questa collaborazione noi religiosi
e religiose possiamo offrire in particolare la nostra ricchezza
esperienziale ispirata ai valori evangelici. Proponiamo di puntare
sullo specifico della vita religiosa, che ci porta a:
a) essere e creare ponti per un dialogo all’interno
delle congregazioni, Chiese locali, organismi sociali, governi;
con le persone: prossimità, relazione vitale, ascolto per
comprendere il problema, cura; con le culture, per scoprirne i
valori e farli emergere senza importare tutto da fuori;
b) armonizzare la risposta all’urgenza
della pandemia con un approccio integrale alle varie sfaccettature
del problema;
c) cogliere la sfida alla conversione per noi religiosi
di fronte ad un problema che tocca il nostro interpretare la malattia,
vincendo l’ignoranza e la tendenza alla “moralizzazione”,
ed accogliere con umiltà anche la realtà della presenza
della malattia all’interno delle nostre comunità;
d) essere profezia cogliendo le esigenze che questa malattia
pone in ambito pastorale ed approfondendo la riflessione teologica
e pastorale suscitata dall’hiv/aids.
Collaborare, lavorare in rete tra noi e con altri gruppi. Imparare
gli uni dagli altri le strategie migliori: programmi di prevenzione,
educazione sessuale e per la vita, formazione dei giovani; cura
degli ammalati; integrazione nella società dei bambini
con hiv/aids; particolare attenzione agli orfani e cura dei bambini
anche nell’area del sostegno psicologico-spirituale; inserimento
nel settore della ricerca; programmi di sostegno per le donne,
per gli ammalati e per i loro familiari.
Impegnarsi nell’assistenza e supporto per ricerca di fondi,
per l’accesso al trattamento dei gruppi più vulnerabili
affinché tutti possano avere accesso alla terapia Arv e
alle altre cure indispensabili per la prevenzione.
Prestare attenzione alla chiamata per la cura pastorale e umanizzazione
nella pandemia: cura dei malati e dei morenti da aids, sollecitudine
per coloro che si prendono cura di loro, per le persone sieropositive
e per coloro che perdono i parenti. Organizzare giornate di sostegno,
di preghiera di guarigione e gruppi di appoggio per i familiari.
Formazione specifica nei corsi di preparazione per il personale
sanitario e per la cura pastorale.
Lavorare in collaborazione con coloro che vivono con hiv/aids,
con altre organizzazioni cattoliche che sono impegnate nella risposta
alla pandemia, con persone e strutture di altre denominazioni
e altri gruppi di fede, governi, agenzie internazionali (come
Unaids, Oms e il Fondo Globale per la lotta all’aids, tbc
e malaria), e la società civile. Conclusione. Nel
novembre scorso Benedetto XVI, riferendosi alla Giornata mondiale
dell’aids, ha dichiarato che “seguendo da vicino l’esempio
di Cristo, la Chiesa ha sempre considerato la cura degli ammalati
una parte integrante della sua missione.
Perciò
incoraggio le molte iniziative promosse specialmente dalle comunità
cristiane per l’eradicazione di questa malattia, e sono
vicino a coloro che soffrono di aids e alle loro famiglie, invocando
su di loro l’aiuto ed il conforto del Signore”.La
nostra speranza è che altre congregazioni non specificamente
coinvolte nel ministero pastorale della salute possano rispondere
a questa chiamata, secondo il loro specifico carisma. Siamo anche
coscienti che la risposta delle congregazioni già coinvolte
necessita di essere maggiormente unificata, cercando di superare
la presente frammentazione degli impegni. Quaranta milioni ed
oltre di persone che soffrono di aids guardano a noi con speranza!
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Una storia d’acqua
Ricordo di Lisa Serafini |
II 1° ottobre
1998 moriva in un incidente stradale in Senegal Lisa Serafini
che era in servizio come infermiera volontaria con la LVIA (Lay
Volunteers International Association) in Guinea Bissau. Il Comune
di Siena l’ha insignita con la Medaglia d’oro alla
memoria; l’Azienda Ospedaliera Senese, presso cui lavorava,
le ha intitolato il Parco Giochi adiacente all’area materno-infantile
con una statua a lei ispirata: nel Febbraio 2005 la mamma di
Lisa ed alcuni amici di Poggio al Vento hanno costituito il
Club “Acqua è Vita Lisa Serafini” aderendo
cosi alla Campagna LVIA, con un progetto preciso in un villaggio
del Senegal. Finanzierà l’approfondimento del pozzo,
le coltivazioni con la fornitura di sementi e la formazione
degli agricoltori.
Tutti possono diventare “portatori d’acqua”
con l’informazione ad un uso corretto dell’acqua,
la sensibilizzazione, un piccolo contributo di denaro (detraibile
dalle tasse). Per informazioni è possibile rivolgersi
a Mariangela Carnesecchi - Via E. Gallori 2, 53100 Siena - portavoce
del Club. La LVIA da 40 anni è impegnata con i suoi volontari
e con le popolazioni locali a realizzare pozzi in Etiopia e
Guinea, a costruire invasi artificiali in Burkina Faso, a fabbricare
ed installare eoliane nei villaggi del Senegal e a formare equipe
di tecnici per la riparazione di pompe manuali, eoliche e solari
in Mali, a progettare e realizzare acquedotti per le comunità
rurali in Kenya, Tanzania e Burundi.
Questa “storia d’acqua” ci rende particolarmente
sensibili agli appelli della Comunità Internazionale
sul grave problema della mancanza d’acqua nei paesi più
poveri. Con lo slogan “Acqua è vita” abbiamo
lanciato nel 2003 una Campagna di solidarietà, il cui
obiettivo e assicurare l’accesso all’acqua a 500.000
persone, entro il 2006, nei paesi africani dove operiamo. Per
raggiungere l’obiettivo servono tanti portatori d’acqua,
tante persone convinte che l’acqua è, per gli anni
futuri, il nuovo nome della pace.
La LVIA è un’associazione di ispirazione cristiana
nata nel 1966 con l’obiettivo di lottare contro l’ingiustizia,
la fame, la povertà e di operare concretamente per la
pace e lo sviluppo umano. Cosciente che non esiste un unico
modello di sviluppo, il suo stile è quello di ricercare
con i partner locali percorsi per realizzare progetti di sviluppo
sostenibile adeguati al contesto sociale e ambientale.
Acqua, miglioramento della produzione agricola, formazione professionale,
prevenzione sanitaria, igiene e protezione ambientale sono i
settori in cui intervenire, nell’organizzare gli aiuti
in collaborazione con le agenzie dell’ONU.
Oggi è presente con i suoi progetti in Burkina Faso,
Burundi, Etiopia, Guinea Bissau, Kenya, Malawi, Mali, Mauritania,
Mozambico, Senegal, Tanzania e Albania. In Italia la LVIA sostiene
il commercio equo e il risparmio etico, promuove e organizza
con le scuole, i gruppi, gli enti locali, le parrocchie, le
associazioni di categoria percorsi di conoscenza e di scambio
con la società civile del Sud del mondo per favorire
la cooperazione decentrata.
È un’ONG (Organizzazione Non Governativa) riconosciuta
dall’Unione Europea e dal Ministero degli Affari Esteri
Italiano, aderisce alla Federazione Organismi Cristiani Servizio
Internazionale Volontario (FOCSIV - Volontari nel mondo) ed
è socia dell’Associazione delle ONG Italiane (AOI).
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Ho fatto
la mia parte, ora
continuate voi…
Ricordo di Teresa Crocivegno Nazionale
del Ce.Mi.Ofs.
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Nel mese di Ottobre è
venuta a mancare la sorella Teresa Croci, direttrice e animatrice
del laboratorio Missionario di Corso Italia in Firenze.
Spesso presentiamo le figure di missionari e missionarie
che hanno dedicato la loro vita al servizio di fratelli
bisognosi di sviluppo fisico e spirituale. Portando loro
non solo il Vangelo, ma progetti per la promozione umana.
Spesso, parlando di questi, abbiamo fatto riferimento a
coloro, innumerevoli, che nel silenzio e lontani dal plauso
del mondo e della Chiesa stessa, hanno ugualmente servito
efficacemente il mondo della missione ad gentes. Teresa
è stata una di queste persone.
Aveva trasformato l’appartamento a lei riservato in
Corso Italia 28, in un efficientissimo laboratorio di cucito,
dove fin dagli anni ’50 si confezionavano indumenti
per i poveri delle missioni.
Venendo meno in questi ultimi tempi questa necessità,
Teresa con le amiche si è adoperata a preparare paramenti
e biancheria per le nuove chiese dei missionari cappuccini
toscani, siano esse del Tanzania come della Nigeria.
Ultimamente abbiamo ricevuto da queste sorelle collaboratrici
anche molto vestiario per i bambini dei nostri centri dove
sono accolti dei piccoli orfani siero positivi, motolesi
e spastici. Non pensiamo di offendere alcuno se affermiamo
che per oltre cinquanta anni l’anima di tutto questo
è stata Teresa Croci, senz’altro sorretta da
generose collaboratrici che con lei assiduamente si radunavano
e pregavano.
La Cappella dell’appartamento nella quale vi era il
permesso di conservare il Santissimo Sacramento, vedeva
spesso radunate le sorelle per la recita comune della preghiera
e qualche volta per la Celebrazione dell’Eucaristia.
In questa Cappella tenuta con cura e amore, Teresa trascorreva
molto del suo tempo libero in meditazione, oltre che partecipare
alle possibili iniziative parrocchiali in S. Lucia.
Sempre accogliente, sempre sorridente, quando la incontravamo
il nostro spirito si arricchiva di fede, speranza e gioia
di vivere e lavorare per la Chiesa di Dio. Ci ha lasciato
silenziosamente, forse con il sorriso che le era sempre
familiare, dicendoci: “io ho fatto la mia parte, ora
continuate voi…” E le amiche hanno risposto:
“… sul tuo esempio anche noi serviremo”.
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