Dalla missione
Claudio

Ho scelto di vivere come un missionario, ma da volontario laico, almeno per il momento, poiché non escludo che col tempo possano maturare anche altre scelte. Come è avvenuto per una mia conoscente, oggi Suor Cecilia Pasquini. Durante il mio recente ritorno in Italia, sono stato circondato dall’affetto di molti amici e sotto il tiro di mille domande, tra le quali una che mi ha particolarmente ferito. Un’amica mi ha domandato informazioni sulla figura del missionario oggi, come io che ci vivo a fianco, lo vedo e lo giudico.

La domanda dell’amica era motivata da un precedente colloquio che lei aveva avuto con un giovane sacerdote missionario ritiratosi dalla regione missionaria perché era rimasto deluso di come andavano le cose; accusava i suoi confratelli missionari di dedicarsi molto alle varie attività, ma poco all’evangelizzazione. “Io sono sceso in Missione per portare Cristo e il suo Vangelo e non per costruire asili e scuole; a quelli pensino i governi del luogo o altri enti che operano a livello internazionale per lo sviluppo dei popoli “.

Come prima chiarificazione, vorrei ricordare al giovane Padre e fratello, che quando incontriamo delle difficoltà, non è bene fuggirle, ma affrontarle, per migliorare le situazioni. Seconda puntualizzazione: non credo che i missionari costruttori di asili, scuole e dispensari medici siano degli imprenditori, impresari o capi cantiere, ma piuttosto persone che hanno capito che la promozione umana parte dal messaggio evangelico. Dopo un grande convegno ecclesiale della Chiesa Italiana fu coniato questo nuovo slogan: “Il Vangelo è promozione umana”.

Come terza considerazione pongo la mia esperienza personale, vissuta a fianco di diversi missionari, sacerdoti, religiosi e religiose e laici in missione permanente. Fin dai primi tempi in cui mi sono avvicinato a questi fratelli e sorelle, mi ha colpito la serietà e metodicità con la quale si dedicano alla cura della loro vita spirituale e all’aggiornamento pastorale, per non rimanere aridi e radicati a un passato che ha portato senz’altro i suoi frutti, ma che oggi ha necessità di essere aggiornato.

Assidui all’incontro mensile con il proprio Vescovo, con corsi di formazione permanente, non solo quando tornano alle sedi di origine, ma anche in regione missionaria, dove i superiori accompagnano e curano la vita spirituale dei confratelli affidateli dall’Ordine. In diversi di questi territori missionari è nata e sta crescendo la famiglia religiosa. Diversi sono i giovani che si orientano verso scelte del Carisma religioso, senza tralasciare la scelta del sacerdozio Diocesano che numericamente oltrepassa alla lunga il numero delle vocazioni religiose.

Ciò significa che i missionari venuti dall’occidente o dall’oriente che sia, hanno seminato qualche buon seme. Inoltre sento di poterli definire come San Francesco, giullari di Dio. Quando li vedo raggiungere villaggi e zone impervie della savana, per portare conforto e sostegno a tanti fratelli e sorelle in difficoltà o quando li vedo sudare insieme a loro per assicurare ai campi un buon raccolto, invitando alla speranza e all’ottimismo le comunità che, come quest’anno, disperano per l’assenza delle piogge. In tre anni che vivo con loro, non li ho visti mai trascurare la vita religiosa, ma li ho visti anche impegnati nella vita sociale ed economica del paese, soprattutto collaborare nel settore dell’educazione, stimolando le comunità alla partecipazione, ad inserirsi in quelle organizzazioni necessarie per lo sviluppo dell’ambiente sotto tutti gli aspetti. È inconcepibile fermarsi solo all’annuncio del Vangelo, senza condividere situazioni difficili e problematiche. È un’assurdità pensare che sia possibile vivere in una realtà così diversa, così povera e talvolta divorata dalle malattie insanabili, senza portare in sé la carica che si sprigiona dal messaggio evangelico, la fede che fa camminare scandendo la giornata, anche se faticosa, con la preghiera.

Noto ancora che in certe Comunità di Missione, i Padri sono riusciti con l’aiuto delle Suore a creare gruppi di fedeli che collaborano nella evangelizzazione e nella catechesi. Mi ha colpito come in una missione siano presenti i gruppi di preghiera in altre le comunità di base, e soprattutto come si cerca di far crescere la comunità prestando particolare attenzione alle famiglie che vengono visitate in alcuni periodi, sul sistema dei nostri centri di ascolto, cioè casa per casa o a gruppi di famiglie. Giovani, adolescenti, adulti, entusiasti nel vivere la propria fede e a viverla con gioia e con grande spirito fraterno, che si estende anche nei confronti degli ospiti, anche all’ultimo arrivato come sono io.

Oggi questi laici formati alla vita evangelica e di comunità sono capaci di unirsi ai Padri nel raggiungere villaggi lontani con popolazione ancora pagana, e la missionarietà non è più legata al Padre o al fratello che viene dal mondo occidentale, ma insieme alla realtà ecclesiale già presente e a suo tempo fondata sì da questi uomini e donne “tutto fare”, ma tra questo tutto fare non è stata trascurata l’evangelizzazione, ma è stata compiuta e nel migliore dei modi. Ringrazio il Signore, per questa chiamata a vivere a contatto con queste persone, non eroiche come spesso alcuni le definiscono e neppure straordinarie, ma persone che sull’esempio di Francesco, di Madre Teresa e di molti altri, non hanno posto limiti alla loro volontà di amare, senza scoraggiarsi di fronte alle delusioni, che senz’altro non sono mancate.

 

Religiosi e lotta all'AIDS
Da Raggio anno 72 n°4, Aprile 2006

Un gruppo di 40 religiosi, uomini e donne, provenienti da vari paesi ed appartenenti a varie congregazio­ni si sono riuniti a Roma dal 12 al 14 dicembre 2005, per un incontro dal titolo: “I religiosi e religiose nel mondo e la pandemia hiv/aids,fra impegno, sfide e profezia”.

La realtà: L’aids è stato considerato dall’Oms come uno dei tre principali pericoli per il pianeta insieme ai rischi climatici e nucleari. La situazione dell’infezione nel mondo (dati Unaids 2005) è quella di un’epidemia ancora in corso di espansione, con grande incremento del numero di persone infette in Europa dell’Est e in Asia. A dicembre 2005 la stima del numero di persone che vivono con l’hiv è di 40 milioni. L’aids ha già ucciso 25 milioni di persone da quando è stato riconosciuto nel 1981...

Anche se ci sono nuovi casi in ogni parte del mondo, l’Africa Sub Sahariana resta la più fortemente colpita ed ospita circa 26 milioni di hiv positivi, ciò significa due terzi di tutte le persone che vivono con aids. Risposte e sfide: “Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino (Lc 10,34)”: Queste sfide richiedono la cooperazione fattiva di tutti gli uomini e le donne di buona volontà, di agenzie internazionali con Ong e Obf, la cooperazione cross culturale e la condivisione di risorse che possano garantire la migliore cura, educazione e prevenzione che la nostra creatività umana possa mettere insieme. In questa collaborazione noi religiosi e religiose possiamo offrire in particolare la nostra ricchezza esperienziale ispirata ai valori evangelici. Proponiamo di puntare sullo specifico della vita religiosa, che ci porta a:

a) essere e creare ponti per un dialogo all’interno delle congregazioni, Chiese locali, organismi sociali, governi; con le persone: prossimità, relazione vitale, ascolto per comprendere il problema, cura; con le culture, per scoprirne i valori e farli emergere senza importare tutto da fuori;

b) armonizzare la risposta all’urgenza della pandemia con un approccio integrale alle varie sfaccettature del problema;

c)
cogliere la sfida alla conversione per noi religiosi di fronte ad un problema che tocca il nostro interpretare la malattia, vincendo l’ignoranza e la tendenza alla “moralizzazione”, ed accogliere con umiltà anche la realtà della presenza della malattia all’interno delle nostre comunità;

d)
essere profezia cogliendo le esigenze che questa malattia pone in ambito pastorale ed approfondendo la riflessione teologica e pastorale suscitata dall’hiv/aids.

Collaborare, lavorare in rete tra noi e con altri gruppi. Imparare gli uni dagli altri le strategie migliori: programmi di prevenzione, educazione sessuale e per la vita, formazione dei giovani; cura degli ammalati; integrazione nella società dei bambini con hiv/aids; particolare attenzione agli orfani e cura dei bambini anche nell’area del sostegno psicologico-spirituale; inserimento nel settore della ricerca; programmi di sostegno per le donne, per gli ammalati e per i loro familiari.
Impegnarsi nell’assistenza e supporto per ricerca di fondi, per l’accesso al trattamento dei gruppi più vulnerabili affinché tutti possano avere accesso alla terapia Arv e alle altre cure indispensabili per la prevenzione.

Prestare attenzione alla chiamata per la cura pastorale e umanizzazione nella pandemia: cura dei malati e dei morenti da aids, sollecitudine per coloro che si prendono cura di loro, per le persone sieropositive e per coloro che perdono i parenti. Organizzare giornate di sostegno, di preghiera di guarigione e gruppi di appoggio per i familiari. Formazione specifica nei corsi di preparazione per il personale sanitario e per la cura pastorale.

Lavorare in collaborazione con coloro che vivono con hiv/aids, con altre organizzazioni cattoliche che sono impegnate nella risposta alla pandemia, con persone e strutture di altre denominazioni e altri gruppi di fede, governi, agenzie internazionali (come Unaids, Oms e il Fondo Globale per la lotta all’aids, tbc e malaria), e la società civile. Conclusione. Nel novembre scorso Benedetto XVI, riferendosi alla Giornata mondiale dell’aids, ha dichiarato che “seguendo da vicino l’esempio di Cristo, la Chiesa ha sempre considerato la cura degli ammalati una parte integrante della sua missione.

Perciò incoraggio le molte iniziative promosse specialmente dalle comunità cristiane per l’eradicazione di questa malattia, e sono vicino a coloro che soffrono di aids e alle loro famiglie, invocando su di loro l’aiuto ed il conforto del Signore”.La nostra speranza è che altre congregazioni non specificamente coinvolte nel ministero pastorale della salute possano rispondere a questa chiamata, secondo il loro specifico carisma. Siamo anche coscienti che la risposta delle congregazioni già coinvolte necessita di essere maggiormente unificata, cercando di superare la presente frammentazione degli impegni. Quaranta milioni ed oltre di persone che soffrono di aids guardano a noi con speranza!

Una storia d’acqua
Ricordo di Lisa Serafini
Bimbi che si lavano ad un rubinettoLisa Serafini

 

 

 

 

 

 

II 1° ottobre 1998 moriva in un incidente stradale in Senegal Lisa Serafini che era in servizio come infermiera volontaria con la LVIA (Lay Volunteers International Association) in Guinea Bissau. Il Comune di Siena l’ha insignita con la Medaglia d’oro alla memoria; l’Azienda Ospedaliera Senese, presso cui lavorava, le ha intitolato il Parco Giochi adiacente all’area materno-infantile con una statua a lei ispirata: nel Febbraio 2005 la mamma di Lisa ed alcuni amici di Poggio al Vento hanno costituito il Club “Acqua è Vita Lisa Serafini” aderendo cosi alla Campagna LVIA, con un progetto preciso in un villaggio del Senegal. Finanzierà l’approfondimento del pozzo, le coltivazioni con la fornitura di sementi e la formazione degli agricoltori.

Tutti possono diventare “portatori d’acqua” con l’informazione ad un uso corretto dell’acqua, la sensibilizzazione, un piccolo contributo di denaro (detraibile dalle tasse). Per informazioni è possibile rivolgersi a Mariangela Carnesecchi - Via E. Gallori 2, 53100 Siena - portavoce del Club. La LVIA da 40 anni è impegnata con i suoi volontari e con le popolazioni locali a realizzare pozzi in Etiopia e Guinea, a costruire invasi artificiali in Burkina Faso, a fabbricare ed installare eoliane nei villaggi del Senegal e a formare equipe di tecnici per la riparazione di pompe manuali, eoliche e solari in Mali, a progettare e realizzare acquedotti per le comunità rurali in Kenya, Tanzania e Burundi.

Questa “storia d’acqua” ci rende particolarmente sensibili agli appelli della Comunità Internazionale sul grave problema della mancanza d’acqua nei paesi più poveri. Con lo slogan “Acqua è vita” abbiamo lanciato nel 2003 una Campagna di solidarietà, il cui obiettivo e assicurare l’accesso all’acqua a 500.000 persone, entro il 2006, nei paesi africani dove operiamo. Per raggiungere l’obiettivo servono tanti portatori d’acqua, tante persone convinte che l’acqua è, per gli anni futuri, il nuovo nome della pace.
La LVIA è un’associazione di ispirazione cristiana nata nel 1966 con l’obiettivo di lottare contro l’ingiustizia, la fame, la povertà e di operare concretamente per la pace e lo sviluppo umano. Cosciente che non esiste un unico modello di sviluppo, il suo stile è quello di ricercare con i partner locali percorsi per realizzare progetti di sviluppo sostenibile adeguati al contesto sociale e ambientale.

Acqua, miglioramento della produzione agricola, formazione professionale, prevenzione sanitaria, igiene e protezione ambientale sono i settori in cui intervenire, nell’organizzare gli aiuti in collaborazione con le agenzie dell’ONU.
Oggi è presente con i suoi progetti in Burkina Faso, Burundi, Etiopia, Guinea Bissau, Kenya, Malawi, Mali, Mauritania, Mozambico, Senegal, Tanzania e Albania. In Italia la LVIA sostiene il commercio equo e il risparmio etico, promuove e organizza con le scuole, i gruppi, gli enti locali, le parrocchie, le associazioni di categoria percorsi di conoscenza e di scambio con la società civile del Sud del mondo per favorire la cooperazione decentrata.
È un’ONG (Organizzazione Non Governativa) riconosciuta dall’Unione Europea e dal Ministero degli Affari Esteri Italiano, aderisce alla Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario (FOCSIV - Volontari nel mondo) ed è socia dell’Associazione delle ONG Italiane (AOI).

Ho fatto la mia parte, ora continuate voi…
Ricordo di Teresa Crocivegno Nazionale del Ce.Mi.Ofs.

Teresa Croci

Nel mese di Ottobre è venuta a mancare la sorella Teresa Croci, direttrice e animatrice del laboratorio Missionario di Corso Italia in Firenze. Spesso presentiamo le figure di missionari e missionarie che hanno dedicato la loro vita al servizio di fratelli bisognosi di sviluppo fisico e spirituale. Portando loro non solo il Vangelo, ma progetti per la promozione umana. Spesso, parlando di questi, abbiamo fatto riferimento a coloro, innumerevoli, che nel silenzio e lontani dal plauso del mondo e della Chiesa stessa, hanno ugualmente servito efficacemente il mondo della missione ad gentes. Teresa è stata una di queste persone.
Aveva trasformato l’appartamento a lei riservato in Corso Italia 28, in un efficientissimo laboratorio di cucito, dove fin dagli anni ’50 si confezionavano indumenti per i poveri delle missioni.

Venendo meno in questi ultimi tempi questa necessità, Teresa con le amiche si è adoperata a preparare paramenti e biancheria per le nuove chiese dei missionari cappuccini toscani, siano esse del Tanzania come della Nigeria.
Ultimamente abbiamo ricevuto da queste sorelle collaboratrici anche molto vestiario per i bambini dei nostri centri dove sono accolti dei piccoli orfani siero positivi, motolesi e spastici. Non pensiamo di offendere alcuno se affermiamo che per oltre cinquanta anni l’anima di tutto questo è stata Teresa Croci, senz’altro sorretta da generose collaboratrici che con lei assiduamente si radunavano e pregavano.

La Cappella dell’appartamento nella quale vi era il permesso di conservare il Santissimo Sacramento, vedeva spesso radunate le sorelle per la recita comune della preghiera e qualche volta per la Celebrazione dell’Eucaristia. In questa Cappella tenuta con cura e amore, Teresa trascorreva molto del suo tempo libero in meditazione, oltre che partecipare alle possibili iniziative parrocchiali in S. Lucia.
Sempre accogliente, sempre sorridente, quando la incontravamo il nostro spirito si arricchiva di fede, speranza e gioia di vivere e lavorare per la Chiesa di Dio. Ci ha lasciato silenziosamente, forse con il sorriso che le era sempre familiare, dicendoci: “io ho fatto la mia parte, ora continuate voi…” E le amiche hanno risposto: “… sul tuo esempio anche noi serviremo”.