Prato 26 Febbraio 2006
Incontro di informazione e formazione alla missione in collaborazione col Ce.Mi.Ofs e l’O.F.S.


In missione... con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI


di Giovanni Minnucci


Con la sua relazione, sviluppata principalmente sulla base dei documenti pontifici, Giovanni Minnucci ha illustrato il ruolo dei laici all’interno della Comunità ecclesiale. Già nel 1988 Giovanni Paolo II, con l’esortazione apostolica “Christifideles laici”, ricordando il famoso passo del Vangelo di Matteo (20,3), invitava i laici a non oziare nella piazza ed a recarsi nella “vigna del Signore”, un’espressione che, recentemente, abbiamo avuto il piacere di sentire da Benedetto XVI che, al momento dell’elezione, ha voluto definire sé stesso come un umile servitore della medesima “vigna”.
Muovendo da queste premesse, il relatore ha sviluppato il suo discorso soffermandosi, innanzitutto, su quelle che Giovanni Paolo II definì le “emergenze attuali del mondo”: una visione quasi profetica perché già da allora (1998) il Santo Padre aveva individuato i problemi che avrebbero attanagliato il passaggio dal Secondo al Terzo Millennio: l’indifferentismo religioso e l’ateismo, la dignità umana calpestata, la conflittualità di persone, gruppi, nazioni e blocchi di nazioni che avrebbe potuto assumere forme di violenza, di terrorismo, di guerra.
Di qui il grido, ripetuto, ma inascoltato, di “aprire..spalancare le porte a Cristo”; di qui il pressante invito, rivolto soprattutto ai fedeli laici di rispondere alla “chiamata di Dio”. Il mondo diventa l’ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici: è in esso che deve svolgersi la loro missione. Il richiamo è forte: i laici debbono svolgere la loro attività evangelizzatrice nel mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia, della cultura, della scienza, delle arti, della vita internazionale, né possono minimamente giustificare il proprio disimpegno da questi ambiti anche se, alcuni di essi, vengono indicati dall’opinione comune come luogo di pericolo morale: tutto ciò non giustifica minimamente né lo scetticismo né l’assenteismo dei cristiani dalla cosa pubblica.

I laici al giro di boa del millennio

È comunque nell’Enciclica “Redemptoris missio” del 1990 che Giovanni Paolo II si sofferma, in maniera più specifica, sulla permanente validità del mandato missionario. La Chiesa, infatti, non può sottrarsi alla missione permanente di portare il vangelo a quanti (milioni e milioni di uomini e donne) ancora non conoscono Cristo, redentore dell’uomo. La realtà che è sotto gli occhi di tutti risulta profondamente e velocemente mutevole.
L’urbanesimo, le migrazioni di massa, il movimento di profughi, la scristianizzazione di paesi di antica cristianità, il pullulare di messianismi e sette religiose, deve indurre la Chiesa ad una nuova missione: se da un lato, infatti, occorre rievangelizzare quei popoli di secolare tradizione cristiana che tendono ad ignorare e dimenticare la propria fede e le proprie radici, dall’altro non si deve sottovalutare la necessità di portare il messaggio evangelico a coloro che ancora non conoscono il Cristo.
Il Papa propone soprattutto la creazione e il rafforzamento di istituzioni, gruppi e centri speciali, iniziative culturali e sociali per i giovani per i quali debbono impegnarsi tutti i movimenti ecclesiali. Ma è soprattutto la testimonianza la prima forma di evangelizzazione: tutti nella Chiesa debbono sforzarsi di imitare il Divino Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza. E la testimonianza evangelica, a cui il mondo è sensibile, è quella dell’attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre.
La gratuità di questo atteggiamento e di queste azioni, che contrastano profondamente con l’egoismo presente nell’uomo, fa nascere precise domande che orientano a Dio e al Vangelo. Ed anche l’impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell’uomo, la promozione umana è una testimonianza del Vangelo, se è segno di attenzione per le persone ed è ordinato allo sviluppo integrale dell’uomo. Accanto a ciò - sostiene ancora Giovanni Paolo II - occorre aprire sempre di più il dialogo inter-religioso che fa pienamente parte della missione evangelizzatrice della Chiesa.

Costruire il bene della pace

Un messaggio, quest’ultimo, che Benedetto XVI ha accolto in pieno quando, a pochi giorni dall’elezione, ha ricevuto, nella Sala Clementina, i rappresentanti delle Chies e e Comunità cristiane e di altre religioni non cristiane e quando ha celebrato il 40° anniversario della “Nostra Aetate”, la Dichiarazione con la quale il Concilio Vaticano II aprì una nuova fase sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane e con l’ebraismo. In queste occasioni il Santo Padre, pienamente in linea con il suo predecessore, ha voluto sottolineare che solo il dialogo, la conoscenza reciproca ed il conseguente rispetto degli uni verso gli altri, può contribuire a costruire ponti di amicizia al fine di ricercare il bene autentico di ogni persona e della società nel suo insieme, ed a costruire il bene della pace.
Un tema al quale Benedetto XVI, come è ormai tradizione, ha dedicato il messaggio del 1 gennaio 2006. Ricordando di aver scelto questo nome, sia per riferirsi al S. Patrono d’Europa, ispiratore di una civilizzazione pacificatrice nell’intero Continente, sia al suo predecessore, Benedetto XV, che condannò la I Guerra Mondiale come “inutile strage”, il S. Padre ha richiamato l’umanità intera al servizio di un bene tanto prezioso, lavorando perché non si insinui nessuna forma di falsità tesa ad inquinare i rapporti fra i popoli.
“Occorre recuperare - sostiene ancora il S. Padre - la consapevolezza di essere accomunati da uno stesso destino, in ultima istanza trascendente, per poter valorizzare al meglio le proprie differenze storiche e culturali, senza contrapporsi ma coordinandosi con gli appartenenti alle altre culture. Sono queste semplici verità a rendere possibile la pace...”.
Compito dei cristiani che, in tal modo, operano come veri e propri missionari è ancora una volta rendere testimonianza: “i credenti in Cristo debbono farsi testimoni convincenti del Dio che è inseparabilmente verità e amore, mettendosi al servizio della pace, in un’ampia collaborazione ecumenica e con le altre religioni, come pure con tutti gli uomini di buona volontà”.
Non poteva essere ignorata, infine, dal relatore, l’ultima Enciclica di Benedetto XVI: sulla quale, come ha preannunciato, apparirà nel prossimo numero della nostra Rivista una sua riflessione.

Bisogno di umanità

Deus caritas est! Dio è amore! L’incipit, tratto dalla prima lettera di Giovanni (1 Gv. 4,16), costituisce il centro e il fondamento della fede cristiana. Emerge, immediatamente, la prima grande preoccupazione di Benedetto XVI: in un’epoca nella quale, al nome di Dio vengono spesso collegati la vendetta e “il dovere dell’odio e della violenza”, occorre riaffermare con forza che Dio è amore, e che se l’uomo, in nome di Dio, commette i delitti più atroci, nega, alla radice, l’esistenza stessa di Dio. Il messaggio del Papa è quindi molto chiaro. A coloro che vorrebbero gettarci, in nome di Dio, in una spirale di odio e di violenza, la risposta è netta: i cristiani amano”.
Ma la chiave di volta dell’Enciclica, sotto il profilo della missionarietà, è costituita dal richiamo della parabola del Buon Samaritano. Con questo passo evangelico cambia sostanzialmente il concetto di “prossimo”: con il Cristo esso non è più riferito essenzialmente ai connazionali o agli stranieri stanziatisi nella Terra di Israele, ma a chiunque. “Chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo. Il concetto di prossimo viene universalizzato e rimane tuttavia concreto. Nonostante la sua estensione a tutti gli uomini, non si riduce all’espressione di un amore generico ed astratto, in se stesso poco impegnativo, ma richiede il mio impegno pratico qui ed ora” (nu. 15). L’appello è forte e chiama tutti ad assumersi le proprie responsabilità sia come singoli, sia come membri delle Chiese particolari o della Chiesa universale. L’elemento che deve essere sottolineato, è costituito dall’approccio che il Papa propone nel compimento delle opere di carità.
Non v’è dubbio, infatti, che, in un mondo “globalizzato”, nel quale i mezzi di comunicazione di massa ci mettono in condizione di conoscere, quasi in tempo reale, le grandi emergenze dell’umanità intera, non si possa restare, di fronte ad esse, indifferenti. Il Papa ci ricorda che stiamo parlando di esseri umani, verso i quali non si deve nutrire il semplice sentimento della compassione, e che costoro, gli ultimi della terra, necessitano di qualcosa di più di una cura tecnicamente corretta o di interventi professionalmente avanzati: essi “hanno bisogno” soprattutto “di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore”. Hanno bisogno, in conclusione, di uomini che, attraverso l’amore, testimonino l’amore del Cristo verso l’umanità.

Prof. Giovanni MinnucciGiovanni Minnucci è nato ad Alatri (Frosinone) nel 1954.
Si è laureato in Giurisprudenza nell’Università di Siena.
Si è perfezionato con un soggiorno di studi presso la University of California, Berkeley (USA) nel 1982/1983.
Già docente presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Perugia (1992/1995)
è attualmente professore ordinario di Storia del diritto italiano nell’Università di Siena
dove insegna anche Storia del diritto canonico e Storia delle Istituzioni Politiche.
È Direttore di Dipartimento.
Già appartenente alla Gioventù Francescana, dal 1983 è membro della fraternità OFS di Siena.
È socio fondatore e componente del Consiglio Direttivo dell’Istituto Storico Diocesano di Siena
e Presidente dell’Istituto senese di studi cateriniani.