Eucaristia principio e progetto di missione: La solidarietà

Si è concluso ufficialmente nell’ottobre scorso l’anno eucaristico, un tempo di riflessione sul mistero più grande della nostra fede e sul tesoro più prezioso che possiede la comunità cristiana. Nell’omelia conclusiva il Papa Benedetto XVI, sottolineando l’importanza della missione, ha ricordato che “chi accoglie Cristo nella realtà del suo Corpo e Sangue, non può tenere per sé questo dono, ma è spinto a condividerlo nella testimonianza coraggiosa del Vangelo e nel servizio ai fratelli in difficoltà”.
Un ambito, importante della missione è la solidarietà e il servizio. È un punto questo su cui si gioca in maniera notevole l’autenticità della nostra partecipazione all’Eucaristia. L’Eucaristia è memoria della vita di Gesù ispirata dallo spirito di servizio e dall’amore e non dall’egoismo e dal proprio interesse. Nel gesto dell’ultima è sintetizzato il donarsi di Cristo: “questa è la mia vita, il mio cuore, questo sono io che mi offro per voi e per tutti”. In quell’ultima cena Gesù ci ha lasciato due comandi: uno è quello dopo l’istituzione dell’Eucaristia con le parole “fate questo in memoria di me”, ma c’è un comandamento simile e lo abbiamo nel Vangelo di Giovanni: “io vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi” (Gv 13,15). Sono due comandi in stretto rapporto tra loro: uno che riguarda il culto e la liturgia della Chiesa, l’altro che riguarda la sua vita concreta, ma sono inseparabili. Giovanni ci ricorda cioè che l’Eucaristia è l’offerta della vita di Gesù per noi e il cristiano deve fare altrettanto.
Il gesto che ha compiuto Gesù e che deve contraddistinguere i suoi discepoli è il servizio. E questo spirito di servizio possiamo viverlo ogni nostra giornata svolgendo le professioni proprie di ciascuno. Spesso svolgiamo il nostro lavoro per fare carriera, per arricchirci mentre il Signore ci ricorda che la motivazione di fondo deve essere lo spirito di servizio. Diceva il vescovo Tonino Bello che oggi tanti sono disposti a lustrare le scarpe agli altri per avere benefici ma non a lavare i piedi per servizio gratuito. Il cristiano non deve fare qualcosa di più rispetto agli altri, si tratta solo di viverlo in un altro atteggiamento.
Questo spirito di servizio appreso alla scuola dell’Eucaristia ci porta a farci prossimi agli uomini di oggi e “a rispettare, difendere, amare, servire la vita, ogni vita umana” (Evangelium Vitae 5). Proprio in una delle ultime sue lettere il Papa Giovanni Paolo II così ammoniva i cristiani: “andate specialmente incontro con fraterna operosità a qualcuna delle tante povertà di questo mondo: dramma della fame, malattia, solitudine degli anziani, disagio dei disoccupati, immigrati. Queste realtà segnano anche le regioni più opulente” (Mane nobiscum Domine 28). L’Eucaristia è allora un’occasione per rivedere il nostro stile di vita se è un servizio agli altri o un servirsi degli altri.
Celebrare l’Eucaristia deve portarci a vivere in modo eucaristico ogni nostra attività, cioè a comportarci secondo l’esempio lasciatoci da Gesù con la certezza che questo è il modello dell’uomo che si realizza veramente e il modo per trovare la gioia oltre che darla. Mi sono sempre care le parole di Tagore: “Dormivo e sognavo che la vita era gioia, mi svegliai e vidi che la vita era servizio; volli servire e vidi che servire era gioia”. È questo il banco di prova delle nostre eucaristie: “Non possiamo illuderci: dall’amore vicendevole e in particolare dalla sollecitudine per chi è nel bisogno saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo. È questo il criterio in base al quale sarà comprovata l’autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche” (M.n.D. 28).
Il tempio in cui celebriamo non è per Gesù l’orizzonte ultimo ma il luogo in cui attingere la forza; il nostro orizzonte ultimo deve essere sempre la strada. L’Eucaristia non diventa allora alienazione ma partecipazione ai drammi della storia. Ci ricorda sempre Giovanni Paolo II il grande missionario dei nostri tempi: “L’Eucaristia, pur proiettandoci verso il futuro, dà un forte impulso al nostro cammino storico. L’Eucaristia non ci distoglie dalla terra ma stimola il nostro senso di responsabilità verso la terra presente. Desidero ribadirlo con forza perché i cristiani si sentano più che mai impegnati nei doveri della loro cittadinanza terrena (…). E uno dei campi è difendere la vita umana,lavorare attivamente in un mondo globalizzato dove i più deboli, i più poveri sembrano avere ben poco da sperare (cfr ib. 20).
Adempiere tutto questo non è facile: dobbiamo fare i conti con il nostro cuore egoista, pigro e indifferente ma è proprio incontrando Gesù nell’Eucaristia che il nostro cuore comincia ad ardere come i discepoli di Emmaus; è lì che Gesù non solo ci insegna ad amare ma ci comunica il suo cuore, il suo amore appassionato per la vita. Chi sta allora davanti a Gesù non perde tempo, impara da lui e attinge da lui questo spirito di amore. I santi, proprio per aver perso tempo davanti a Gesù hanno avuto sempre tempo per gli altri. Significativa è la testimonianza di Madre Teresa:
“Stare lì aiuta a scorgerlo anche nei poveri. L’ora santa passata davanti all’Eucaristia ci conduce all’ora santa con i poveri. La nostra Eucaristia è incompleta se non ci conduce al servizio e all’amore dei poveri. Per fare questo lavoro per i più poveri dei poveri abbiamo bisogno del Pane di vita. Non siamo assistenti sociali ma contemplativi nel cuore del mondo. Queste ore trascorse davanti a Gesù non sono ore sottratte al servizio per i poveri, perché ha intensificato il nostro amore per loro”.
Nell’Eucaristia avviene una Pentecoste, lì veniamo consacrati come è avvenuto per Gesù: “lo Spirito del Signore è su di me, mi ha consacrato e mi ha mandato ad annunciare ai poveri il lieto messaggio, ai prigionieri la liberazione, agli afflitti la gioia”. Tonino Bello commenta così il versetto del Vangelo di Giovanni “si alzò da tavola”: prima di servire dobbiamo sedere a quella mensa, nutrirci di essa; solo se ci alziamo da lì saremo capaci di chinarci sui nostri fratelli.
Ma chi non può fare nulla di concreto per i fratelli perché impossibilitato come può svolgere la sua missione? L’esempio degli ultimi anni della vita di Giovanni Paolo II sono illuminanti: anche pregare e soffrire con Gesù contribuisce misteriosamente alla salvezza dei fratelli. Così si esprimeva in una sua lettera sull’adorazione eucaristica: “Attraverso l’adorazione il cristiano contribuisce misteriosamente alla trasformazione radicale del mondo e alla diffusione del Vangelo. Ogni persona che prega il Salvatore trascina dietro di sé il mondo intero e lo eleva a Dio”.
Tutti siamo chiamati alla missione in qualunque condizione ci troviamo e dobbiamo ogni tanto rivolgerci le parole di S. Paolo per scuoterci: guai a me se non annuncio il Vangelo.
Termino con le parole che il Papa Benedetto XVI ha rivolto ai presenti in occasione dell’ultimo Sinodo, come commento all’invito finale del sacerdote nella Messa: “Cari fratelli e sorelle, andate in pace! Siamo consapevoli che questa pace di Cristo non è una pace statica, una specie di riposo, ma una pace dinamica che vuole trasformare il mondo perché sia un mondo di pace animato dalla presenza del Creatore e Redentore. In questo senso dico: andiamo in pace”.
È un invito anche per noi e sono l’eco delle parole di Gesù nella parabola del buon samaritano: “va’ e fai anche tu lo stesso”.q