La
nuova evangelizzazione
Il Convegno Missionario, ha fatto
il punto sulla Evangelizzazione. Cosa c’è di immutabile e
cosa invece è cambiato e sta cambiando nell’annuncio del
Vangelo. Ne hanno parlato padre Fabrizio Civili, vice segretario nazionale
della Pastorale Parrocchiale e padre Corrado Trivelli, responsabile dell’Animazione
Missionaria ad gentes della provincia cappuccina di Toscana.
La
giornata si era aperta col saluto del Vescovo di Livorno, Monsignor Diego
Coletti, che ha recitato le Lodi con noi e ci ha fatto dono di una bella
e profonda meditazione sulla Missione. La relazione di Padre Fabrizio
è stata intensa e particolarmente ricca di citazioni e notazioni
attinte direttamente dal Magistero della Chiesa, e di Giovanni Paolo II
in particolare.
Prima di chiamarla nuova, chiamiamola soltanto Evangelizzazione
– esordisce il relatore – una parola che, nei circoli cattolici,
è diventata di uso corrente solo nel 1975, a dieci anni dalla chiusura
del Concilio Vaticano II, con la pubblicazione dell’Enciclica Evangeli
nuntiandi di Paolo VI. Per dare un’idea della “novità”
dei termini vangelo, evangelizzare, evangelizzazione, Padre Fabrizio ha
proposto un confronto di numeri fra il Vaticano I, quando compare una
sola volta la parola vangelo e mai le altre due, e il Vaticano II, in
cui il termine vangelo è usato 157 volte, 31 volte evangelizzazione
e 18 volte il verbo evangelizzare.
Il termine Nuova Evangelizzazione è stato introdotto da
Giovanni Paolo II, il 9 giugno 1979, durante il suo primo viaggio in Polonia,
quando inaugurando una croce di legno a Nova Uta, il luogo da dove erano
partiti i primi missionari che avevano evangelizzato quella terra, disse
testualmente “È necessaria una Nuova Evangelizzazione”.
Se il termine era inedito, il concetto invece lo aveva già espresso
lo stesso Pontefice nel decreto Ad Gentes, in cui aveva previsto
che, cambiando particolarmente le situazioni, la Chiesa avrebbe
dovuto cambiare non già il messaggio, che non può cambiare,
ma i modi dell’annuncio.
Per capire come cambia, il relatore suggerisce la lettura di
tre eventi della vita ecclesiale, la cui portata complessiva possiamo
ben definire planetaria: a) il Sinodo speciale per l’Europa, i cui
esiti sono riassunti in un documento del 13 dicembre 1990, l’indomani
della caduta del muro e del comunismo, dal titolo “Siamo testimoni
di Cristo che ci ha liberati”; b) il V centenario dell’evangelizzazione
dell’America Latina (1992); c) il Sinodo della Chiesa Africana (1994).
Da questa lettura emerge con chiarezza un dato che può considerarsi
fondante nel magistero di Giovanni Paolo II, tanto che lo ritroviamo ripetuto
ed ampliato in tutti i suoi documenti successivi, fino alla Novo Millennio
Ineunte. Si parla di Nuova Evangelizzazione perché lo Spirito
Santo rende sempre nuova la Parola di Dio ed è anche nuova perché
non è legata immutabilmente ad una determinata civiltà,
in quanto il Vangelo può risplendere in tutte le culture. E soprattutto
si parla di una Evangelizzazione che è nuova nel suo ardore (RM,
11), poiché oggi si richiede un’Evangelizzazione
che abbia l’ardore della Pentecoste.
“Questa passione per il Vangelo - dice testualmente Padre Fabrizio
- non mancherà di suscitare una nuova missionarietà che
non potrà essere demandata ad una porzione di specialisti, come
lo è P. Corrado, com’è il P. Provinciale, come lo
sono i miei carissimi confratelli missionari qui presenti. Vorrei particolarmente
sottolineare, anche rileggendo alcuni documenti di Giovanni Paolo II,
che la missionarietà non è da specialisti. Anche nella Christefidelis
Laici, dove viene illustrata la vocazione dei laici, si dice che
i protagonisti della Nuova Evangelizzazione sono tutti i battezzati e
non solo i preti e le religiose. La Nuova Evangelizzazione è destinata
a formare comunità ecclesiali mature, nelle quali la fede
sprigiona tutto il suo originario significato di adesione alle persona
di Cristo e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con
Lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio”.
E per dare maggior forza a questo concetto-chiave, del ruolo del popolo
di Dio nella Nuova Evangelizzazione, il relatore si richiama al documento
dei vescovi italiani Orientamenti per il primo decennio degli anni
2000, al punto in cui dice “la comunità che si ritrova
intorno all’Eucarestia è e rimane l’anello essenziale
di congiunzione tra il Vangelo e il mondo che ormai il Vangelo non lo
conosce più e soprattutto per quel mondo che il Vangelo non l’ha
conosciuto mai!” Abbiamo sempre fatto questo! Ma cosa vuol dire?
– si domanda e ci domanda Padre Fabrizio, e risponde per tutti:
“Vuol dire che ora dobbiamo smettere di fare quello che
abbiamo sempre fatto e uscire fuori, fuori! Per la comunicazione
del Vangelo questa comunità che siete voi, è e rimane essenziale”.
E precisa, in concreto, i modi e i campi propri della novità nell’annuncio:
“Una Evangelizzazione nuova nei suoi metodi impone di rendersi conto
del rinnovamento dei nuovi ambiti in cui il vangelo deve essere annunciato.
Sono ambiti territoriali, mondi e fenomeni sociali nuovi, nuovi areopaghi
e aree culturali. Pensate al mondo delle comunicazioni sociali, pensate
a quella comunicazione che ci arriva attraverso la televisione. Che ci
danno? Più nulla, anzi ci fanno in qualche modo tornare indietro.
Una Evangelizzazione nuova nei suoi metodi esige questa conversione pastorale,
cioè a dire non stare dentro le chiese ma uscire e raggiungere
i luoghi e i tempi della vita ordinaria: la famiglia, la scuola, le comunicazioni
sociali, l’economia, il lavoro, l’arte, lo spettacolo, lo
sport, il turismo.”
Avvicinandosi alla conclusione, era naturale che l’attenzione del
relatore e dell’uditorio si concentrasse sui temi della Evangelizzazione,
poiché se è vero che il messaggio fondamentale non cambia,
che le Verità rivelate sono sempre le stesse, è pur vero
che esiste una gerarchia di queste Verità e una realtà dell’uomo
di oggi che lo rende più sensibile a certi temi piuttosto che ad
altri. Ed ecco, infatti, la risposta di Padre Fabrizio, suggerita dal
Cardinale Ratzinger (convegno dei catechisti e dei docenti di religione
del 1° dicembre 2000) e da Giovanni Paolo II (Novo Millennio Ineunte).
Secondo il primo, i temi da trattare sono: la conversione, il
regno di Dio, Gesù Cristo, la vita eterna. E il secondo
conferma: il punto di partenza è Gesù Cristo.
Occorre ripartire da Cristo. Gli uomini del nostro tempo chiedono ai credenti
di oggi, a noi, non solo di parlare di Cristo, non solo di parlare di
vita eterna, ma di farlo loro vedere.
L’azione fiduciosa e intraprendente dei missionari e delle missionarie
– conclude Padre Fabrizio - dovrà sempre meglio rispondere
all’esigenza dell’inculturazione, cosicchè gli specifici
valori di ogni popolo non siano rinnegati ma purificati e portati alla
loro pienezza. Restando nella totale fedeltà all’annuncio
evangelico, il cristianesimo del terzo millennio sarà caratterizzato
anche dal volto di tante culture e di tanti popoli in cui è accolto
e radicato. q
qui trovi il testo integrale
della relazione di Padre Fabrizio Civili
Cambia
la missione ?
“Ma lei Padre
Corrado, che conosce le missioni, che è a contatto con la missione,
questo discorso che si fa sulla Nuova Evangelizzazione… ma esistono
sempre le missioni? Esiste sempre il missionario?”
Attacca
così, provocatoriamente, il responsabile dell’animazione
missionaria dei cappuccini toscani. Per poi proporre, come risposta, un
pensiero del Padre missionario del PIME Giacomo Girardi, tratto da un
articolo:
”È oggi diffusa la sensazione che la missione fuori le
mura Ad gentes, registri una caduta di mordente, di coraggio e di profezia;
ci si accontenta tuttalpiù di studiarla a tavolino, accademicamente,
asetticamente senza sussulti provocatori. La missione, si dice, è
qui dentro le nostre chiese in graduale scristianizzazione. Certamente,
questa è una constatazione valida ma è anche un’affermazione
pericolosa - continua il padre Girardi - perché riduce lo sguardo
e la tensione degli orizzonti universali propri dell’annuncio cristiano.
La fede si rafforza solo donandola e donandola fino agli estremi confini
della terra”.
Dopo aver sottolineato la coerenza di questo pensiero con i documenti
della Chiesa, Padre Corrado risale alle fonti primarie della Rivelazione,
i Vangeli, gli Atti e le lettere di San Paolo, per evidenziare come fosse
già chiaro lì, nella Parola di Dio, il senso e l’universalità
della vocazione missionaria. Con particolare fervore cita un brano dalla
seconda lettera ai Corinti “…la carità di Cristo ci
sospinge, l’amore di Cristo ci sospinge per portare, si diceva,
salvezza, ma amo più dire… per portare questo meraviglioso
annuncio, questa meravigliosa rivelazione: il Padre ci ama! E
perché ci ama, ci salva e ci chiama a vivere la comunione con Lui”.
Quindi la Parola di Dio e la Chiesa ci dicono che la missione esiste,
non è finita!
Semmai, cambia qualcosa nel modo di concepire ed organizzare il lavoro
missionario. Dopo il Concilio, infatti, secondo Padre Corrado, nella Chiesa
si è affrontato il problema, soprattutto per chiarire che è
improprio distinguere fra missionari e non missionari: tutti i cristiani
sono missionari e debbono essere incoraggiate modalità che consentono
di alternare esperienze diverse, per non perdere di vista le diverse facce
dell’unica realtà missionaria, e la necessità che
l’intero popolo di Dio ne sia consapevole e coinvolto. Così,
alla tradizionale figura del missionario ad gentes ad vitam,
si aggiunge quella del missionario ad tempus; con la formula
fidei donum, inoltre, le Diocesi fanno dono del loro clero alle
zone di missione; volontari e missionari laici, poi, si aggiungono ai
chierici, per operare, magari per un tempo determinato, in zone di missione;
ai missionari tradizionali, per contro, viene chiesto di alternare all’attività
all’estero, periodi di formazione, aggiornamento e spiritualità
a casa propria, il tutto con spirito di fraterno interscambio con le nascenti
Chiese locali.
A proposito di queste ultime, Padre Corrado riferisce, con una punta di
legittimo orgoglio, di un certo numero di parrocchie in Tanzania
che sono state “consegnate” dai cappuccini toscani al Vescovo
locale, per spostare il lavoro dei nostri missionari verso nuove frontiere.
Un fatto che, se pure ha creato qualche comprensibile disagio in alcuni
padri (non della nostra provincia), deve essere visto come un grande dono
dello Spirito, che permette alla Chiesa di mettere radici in ogni angolo
della terra e ai missionari di continuare a portare l’annuncio dove
non è ancora arrivato. “Noi rimaniamo nella missione
evangelica – conclude Padre Corrado – per cui dobbiamo vivere
la nostra fede in una dimensione fraterna quando andiamo in questi luoghi.
Perché anche questo modo di essere presenti è evangelizzazione”.
q
qui trovi il testo integrale
della relazione di Padre Corrado Trivelli
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